Tutto è perduto fuorché l’amore
- Autore: Francesca Colosi
- Anno di pubblicazione: 2009
La Milano dei nostri giorni, l’ambiente mitizzato di editori, giornalisti, traduttori, bel mondo della cultura, è al centro di questo libro interessante, anche se il quadro che ne fa Francesca Colosi è squallido, deludente. Nel suo recente romanzo "Tutto è perduto fuorchè l’amore", la protagonista Fernanda è una prof delle medie che ha lasciato la Sicilia per fare la freelance a Milano, dove collabora a riviste di viaggio, scrive articoli, viaggia, scuola permettendo, e si vede continuamente con amiche simili a lei: mangiano, bevono molto vino, cucinano piattini raffinati (mai pasta con le sarde o cannoli siciliani, solo falafel e spaghetti con la fava tonka!). In uno dei bar che frequentano irrompe una sera Giorgio, viziatissimo rampollo di una famiglia molto bene che lo ha lasciato erede di una casa in sfacelo al centro della città. Giorgio è un solitario bipolare, ipocondriaco o davvero malato, odioso, aggressivo, molto infelice, anche se pieno di maglioncini di cachemire, scarpe inglesi, gioielli e quadri di famiglia. Purtroppo, al cuore non si comanda, la bella Fernanda ne è irresistibilmente attratta. Cosa le piace di questo eccentrico giovanotto che profuma di borotalco, che la maltratta, la umilia per poi ricercarla riempiendola di attenzioni, regali, orchidee, promesse che vengono regolarmente disattese poche ore dopo? E’ a questo tipo di relazione che bisogna abituarsi per non restare sole? Fernanda è continuamente in bilico tra la ricerca di libertà e indipendenza, simboleggiata dal suo monolocale con le pareti rosso pompeiano che ha costruito a sua misura, e le proposte strampalate di Giorgio che la trascina ad Oxford, in Israele, in viaggi da cui Fernanda vorrebbe fuggire.
L’autrice indaga con minuziosa attenzione il mondo di Giorgio: una casa dove lo scarico del bagno non è mai stato aggiustato, con una bella terrazza abbandonata e fatiscente, dove i giocattoli di Giorgio bambino sono ancora tutti lì, ad offrire un rifugio al suo psicopatico depresso proprietario; e ancora il pavimento cosparso di medicinali, antidepressivi, antisuicidio, antispastici, antistitichezza: la vita dell’uomo di cui Fernanda si è innamorata è anti qualunque cosa. Eppure, la disponibilità all’amore avrà la meglio; evidentemente un mondo di solitudine affettiva, in tempi di post-femminismo, non è più accettabile, visto che anche le amiche della protagonista non fanno che accontentarsi di incontri casuali con uomini per lo più improponibili, forse non migliori dello stesso Giorgio.
La scrittrice Francesca Colosi è colta (l’ambiente che descrive ne è testimonianza), ma sembra quasi che abbia antipatia per i personaggi che ha costruito, come se questa nuova borghesia della cultura e dell’editoria l’avesse delusa. La cena a casa dei celebri giornalisti Pajno, dove Fernanda è invitata con Giorgio, offre con chiarezza la diffidenza che l’autrice sembra provare nei confronti dei miti dell’aristocrazia della cultura:
“In casa Pajno tutto valeva milioni: c’erano pitture di Longhi e Segantini, e poi sculture di Modigliani, Max Ernst e chissà chi altri……Ero nella casa del giornalista di cui la mia famiglia al completo aveva letto editoriali e libri. Lo stimavamo quasi tutti. Dico quasi perché in verità mio nonno per Manfredi Pajno aveva una discreta antipatia. Anzi, mio nonno quel giornalista lo detestava”.
Il romanzo dunque si legge con piacere e le contraddizioni che pervadono i protagonisti ci raccontano molto bene le insicurezze, le fragilità, il senso di inadeguatezza, che si nascondono dietro un’intera generazione di giovani donne e uomini alla disperata ricerca di un’improbabile felicità. La scrittura è rapida, sintetica, lo spaccato sociale descritto con accuratezza, senza mai indulgere alla ridondanza.
Tutto è perduto fuorché l'amore
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