Tutto il tempo del mondo di E.L. Doctorow

Edgar Lawrence Doctorow (o più semplicemente E.L. Doctorow) è nato a New York nel 1931 ed è poco conosciuto in Italia, sebbene alcuni dei suoi romanzi siano stati trasposti nel cinema riscuotendo il plauso del pubblico (ne è un esempio “Il Libro di Daniel”, grande successo letterario del 1971, tradotto in Italia con Mondadori solo nove anni più tardi ed adattato nel film “Daniel” di Sidney Lumet).
Questo simpatico scrittore di origini ebraico-russe, oltre ad aver ricevuto importanti riconoscimenti per i suoi scritti (un National Book Award e due Faulkner Awards, giusto per citarne alcuni), è anche una vera celebrità in numerosi college ed università americani, dove tiene con inesauribile entusiasmo e fantasia vari corsi di scrittura creativa.

“Tutto il tempo del mondo” è stato pubblicato nel 2014 da Mondadori e si presenta come una raccolta di dodici racconti solo apparentemente disgiunti tra loro.
La lettura inizia con una prefazione insolita e accattivante: lo scrittore newyorkese spiega senza troppi giri di parole la differenza tra romanzo e racconto e la sua naturale propensione verso questa seconda forma di narrativa:

“Sono intraprendenti, i racconti, si annunciano da sé, la loro voce e le loro vicende già stabilite e immutabili.”

Difatti ognuna delle storie narrate in “Tutto il tempo del mondo” appare come un dipinto già ben definito, nel quale un’esplosione di colori delinea personaggi e azioni che vengono perfettamente rappresentati dal linguaggio talvolta introspettivo, talvolta vaneggiante e talvolta sbrigativo di Doctorow. Le vicende sono eterogenee, passando dall’ironico al disperato, e ambientate in diverse parti d’America e in Europa, in luoghi “assolutamente irriconoscibili” come dichiara lo stesso autore.

La prima vicenda, “Wakefield”, è focalizzata su un avvocato benestante che di punto in bianco decide di non rientrare a casa, dove moglie e figlie lo aspettano, ma di nascondersi per qualche tempo nel proprio garage, vivendo come un barbone ed assaporando quel gusto di libertà d’azione che tanto gli mancava. Anche il personaggio centrale di “Edgemont Drive”, protagonista del secondo racconto, è una specie di emarginato che si intrufola nella casa dove ha trascorso la sua infanzia, mettendo a soqquadro la vita della copia che ora vi abita. Più oltre, il lettore familiarizza con Jim (un discepolo della setta di “Walter John Harmon” che con non poca riluttanza accetta i tradimenti della moglie con il grande Maestro di Vita, fino a spodestarlo), con Jolene (un’orfana adolescente dai capelli rossi alla quale accadono le più svariate disavventure amorose e finanziarie e che non riesce mai a risollevarsi sebbene conservi il suo innato ottimismo), con Jonathan (uno scrittore in erba costretto dalla zia a scrivere lettere immaginarie alla nonna malata al fine di nascondere la morte del figlio) e altri ancora.

Come accennato all’inizio di questa recensione, ciò che rende molto interessante questa raccolta è il filo conduttore che unisce i dodici racconti: i protagonisti si ritrovano in qualche modo tutti estranei all’ambiente in cui si trovano ed alla vita che conducono. Mossi da uno spirito di ribellione e di competizione verso chi li circonda, diventano esseri solitari, assolutamente originali e bizzarri:

“Winifred non era il genere di donna tipo mamma. Era una cosina secca secca, e quando scendeva le scale era come veder saltellare un uccellino. Non si metteva né cipria né profumi se non per caso lo zucchero a velo che si portava addosso tornando a casa dalla panetteria dove lavorava dietro il bancone”.

Chi conosce e apprezza la sagacia e l’ironia dell’ottantenne E.L. Doctorow non può che non aspettare di leggere il suo prossimo romanzo che uscirà sempre con Mondadori nel 2015 e che si intitolerà “Il cervello di Andrew”.