Tutto in ordine
- Autore: Svava Jakobsdóttir
- Genere: Raccolte di racconti
L’Islanda è una terra lieve. Una terra di aria sottile e di chiome bionde appena mosse dal vento, di sguardi silenziosi e di sorrisi tristi, di fuoco che brucia dentro e di gelo che lo imprigiona non appena cerca di uscire. La sua voce è impalpabile, accennata, quasi ritrosa, densa di inespresso, eppure urla per farsi sentire. Così sono questi racconti, che non troverete in qualsiasi libreria, anche se la loro autrice è stata una delle scrittrici islandesi più importanti e apprezzate. Il consiglio è di procurarveli, se volete conoscere meglio il carattere di questa terra dalla bellezza fredda e spettrale.
Non so se sia solo un effetto del mio amore per l’Islanda il fatto che io abbia amato anche questi racconti, malgrado abbiano quello che, ai miei occhi di lettrice, di solito appare come il peggiore dei difetti: la mancanza di una vera e propria trama e di un finale definito. Più che di racconti, si tratta, infatti, di stralci di vita, momenti di riflessione, come pagine dedicate a giorni senza apparente importanza, prese dai diari dei vari protagonisti. Ci vengono presentate situazioni banali agli occhi degli altri, momenti di normale e media tensione nella vita di ogni giorno, durante i quali, però, al protagonista si svela una verità segreta, devastante, importantissima, che segna un momento imprescindibile della sua crescita o addirittura un cambiamento radicale della sua vita, senza che quasi nessun altro, oltre a lui, ne abbia sentore. Un pensiero che coglie nel bel mezzo di un’attività ordinaria, un fermarsi a riflettere, un congelare l’attimo per esaminarlo e affrontarlo.
In questi racconti, l’azione non ha un punto di svolta ne’ una conclusione, ma è nella mente del protagonista che qualcosa si definisce e si concretizza, concludendo, dentro di lui, un ciclo, e allo stesso tempo aprendo la porta a sviluppi futuri che, da lettori, possiamo solamente immaginare.
Svava (definirla “la Jakobsdóttir non sarebbe molto corretto: in Islanda non esistono cognomi, ma solo patronimici - “Jakobsdóttir” significa, infatti, “figlia di Jakob” - e ogni classificazione viene fatta per nome proprio), come donna, scriveva principalmente dalla parte delle donne: donne che si annullano nel proprio ruolo fino a non venire neppure più percepite da marito e figli, vittime degli altri ma innanzitutto di sé stesse, per le quali la propria vita personale è un accessorio da nascondere, quasi vergognandosene, ossessionate dall’approvazione di amici e parenti per la quale sono disposte a sacrificarsi, a mentire, a sopportare. Il racconto più simbolico della raccolta, “Novella per i figli”, vi richiederà uno stomaco forte: superatene la surreale iconografia e coglietene il facile, ma terribile simbolismo. “Sotto il vulcano”, dietro l’apparenza di una visita ai genitori che hanno fatto una diversa scelta di vita, nasconde il senso della precarietà e dell’inutilità, il timore che lo scopo sia enorme, irraggiungibile. “La pietra sulla spiaggia” è una storia di incomprensione dolce e disperata. Ma ci sono anche scenari di ottimismo e voglia di ricominciare, donne che riescono a dire basta, a chiudere con il passato o con una situazione di invadenza: succede in “Il ritorno” e ne “L’agenzia “Feste a domicilio””. E c’è chi getta la spugna del tutto, come in “Una convocazione”.
C’è un monito, nei racconti di Svava, o semplicemente una constatazione dell’ineluttabilità di un ruolo definito? L’interpretazione è aperta, e potrebbe essere diversa per ciascuno di noi.
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