TuttoLeone
- Autore: Oreste De Fornari
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2018
“Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, l’uomo con la pistola è un uomo morto”, sentenzia "Il Biondo" in Per un pugno di dollari. Verissimo. A meno che l’uomo con la pistola non si chiami Clint Eastwood nelle declinazioni anti-epiche che ne ha dato Sergio Leone nei suoi western. La battuta può venir buona anche come riepilogo delle coordinate attorno cui ruota il cinema leoniano. Un cinema strutturato per antinomie: muscolare e rarefatto, scanzonato e capace di epos al contempo. Per rifarmi a quanto scrive Oreste De Fornari nel suo “TuttoLeone”, (Gremese 2018), il regista (pag.9):
non cerca di attenuare i motivi più sofisticati e quelli più volgari, ma li esaspera: ci sono battute da farsa accanto a finezze un po’ ermetiche.
Sergio Leone, insomma, attinge e trascende il genere western classico, lo assimila e lo oltrepassa nella boutade, nell’anti-eroismo come nell’enfasi. Lo cita e lo scavalca a destra e a manca, se mi spiego (“Cosa vuol dire buono, brutto, cattivo? Siamo tutti un po’ brutti, un po’ cattivi, un po’ buoni", dixit). Per esempio: tanto la “Trilogia del dollaro” (Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più, Il buono, il brutto, il cattivo) quanto C’era una volta il West e C’era una volta in America (neo-western sotto mentite spoglie di gangster-movie) potrebbero benissimo fare a meno dei dialoghi: fino a tal punto le immagini leoniane risultano di impatto. La forza visiva delle facce (da western), dei set, delle situazioni (e il commento musicale morriconiano), nei film di Sergio Leone parlano prima delle parole (e delle pistole). Per dirla tutta: il western ha conosciuto un’epoca avanti-Leone e una durante-Leone (piuttosto che dopo). C’è stato il western manicheo dei film americani e il western iperrealista di Sergio Leone, in cui l’epos passa dagli sguardi a feritoia, dalle mani alle pistole, dal sole giaguaro e dalla polvere degli esterni, dai tempi dilatati all’estremo. A sottolineare un dettaglio, un tic, un momento topico come un passaggio di tempo infinito (appunto).
Si osservi lo straordinario campionario di foto contenute in questo lussuoso “TuttoLeone” per rendersene conto. Si vedono i campi lunghi di una frontiera-mondo, si vedono le rocce e i deserti, si vedono cappelli e forche e pistole a tamburo e facce di roccia - Clint Eastwood, Lee Van Cleef, Eli Valach, Charles Bronson, Robert De Niro - in piani stretti. Strettissimi. Oppure corpi a cavallo e corpi e cavalli in azione, in azione su praterie di polvere da togliere il fiato. “TuttoLeone” può leggersi anche e quindi come un film. Un film per stazioni e fili rossi in grande formato (300 e passa pagine, il cinemascope di una volta) per raccontare senza apologesi, ma con dovizia di informazioni, l’universo magmatico di Leone: tre introduzioni, una biografia, un saggio critico, le trame dettagliate di tutti i suoi film, le parole di Leone e dei suoi collaboratori, una (imperdibile) antologia di recensioni d’epoca e diverse altre divagazioni. Montate benissimo, e scritte ancora meglio. Ne viene fuori l’anamnesi sfaccettata del regista che più di ogni altro ha saputo cimentarsi con un genere americano come il western, senza restare soggiogato dai topoi, anzi imprimendo loro taglio e vis autoriale propria.
Il volume di Oreste De Fornari induce alla (re)visione ennesima di film diventati ormai classici. Merito non trascurabile anche questo.
TuttoLeone. I film, i dialoghi, i ricordi, i giudizi, la vita, le immagini
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