Cos’è l’Umanesimo? Il termine deriva da un’espressione ciceroniana, “studia humanitatis”, in riferimento alle lingue e alle letterature classiche intese come strumento intellettuale utile a favorire un’elevazione spirituale dell’uomo.
Questo movimento culturale, caratterizzato dal recupero della classicità greco-romana, nacque in Italia e in seguito si sviluppò in Europa tra il Trecento e la seconda metà del Quattrocento, segnando la fine del Medioevo e il principio del Rinascimento.
Determinante nella sua diffusione fu l’invenzione della stampa a opera di Gutenberg, la principale rivoluzione culturale dell’epoca, che favorì una maggiore diffusione del sapere attraverso la più estesa circolazione delle opere. Lo testimonia la Chronica medievale di Riccobaldo di Ferrara in cui viene narrato, con sorpresa, come l’invenzione tedesca avesse letteralmente triplicato la divulgazione delle opere, in particolare la Bibbia, di cui furono stampati trecento esemplari in “un solo colpo” - così testimonia stupefatta la lettera di un cardinale - segnando quindi un vantaggio ineludibile rispetto all’antico metodo della copiatura amanuense. Tra le prime opere stampate in Italia, a opera di due chierici tedeschi, troviamo proprio dei testi classici: la Grammatica latina di Donato, il De oratore di Cicerone e, in data 1465, le Divinae institutiones di Lattanzio.
L’Umanesimo è figlio diretto di questa epoca di rivoluzioni, della tensione irrisolta tra antico e moderno, e soprattutto della rinnovata fiducia nelle illimitate capacità intellettuali dell’uomo. Il termine umanesimo infatti è discendente diretto del latino homo, “uomo”, a indicare un rapporto di interdipendenza tra la cultura e l’essere umano: la certezza, quindi, che nell’anima risieda un potenziale di conoscenza infinito. Questo movimento culturale di rinascita delle arti celebrava l’uomo, inteso come poietes, ovvero come potenza formatrice: ricordiamo infatti che la stessa parola poesia deriva dal verbo greco poieîn, che significa proprio “fare”, inteso nel senso di “produrre”, “creare”, in quest’unione sintomatica è racchiusa la radice stessa dell’Umanesimo.
Scopriamo tutto ciò che c’è da sapere.
Umanesimo: cosa è e come si sviluppa
L’Umanesimo è un movimento culturale che si sviluppa in chiave prevalentemente letteraria, anche se non mancano sue attestazioni anche filosofiche o artistiche (pensiamo alle opere di Donatello, che riallacciandosi alla tradizione scultorea greco-romana rinnovano la ricostruzione prospettica di Brunelleschi).
Dobbiamo ravvisare l’origine dell’Umanesimo in una sorta di crisi del presente: dinnanzi a un periodo di terribile crisi economica e politica, caratterizzato da prolungate carestie, guerre e dal flagello della peste nera, non a caso denominato dallo studioso olandese Johan Huizinga come “Autunno del Medioevo” (titolo di un suo celebre libro), ecco che lo spettro della decadenza spinge gli uomini a ricercare nella cultura classica un fondamento ideale e lo strumento utile per la tutela e la conservazione della civiltà. Il declino del Medioevo si annunciava ormai prossimo, con la progressiva deriva delle sue principali istituzioni autoritarie, ovvero il Papato e l’Impero, si rendeva quindi necessario un altro punto di appoggio, l’affermarsi di una nuova spiritualità. Si sgretolava il principio cristiano dell’impero e si faceva strada un’idea di missione laica: in questo humus culturale il recupero della tradizione classica trovò terreno fertile per il proprio sviluppo. In Italia, in particolare, il recupero della classicità latina veniva a coincidere con una rifondazione della grandezza antica di Roma. Dinnanzi allo sgretolamento del reale in atto - operato da guerre, pestilenze, carestie - il ricongiungimento con i modelli classici svolgeva una funzione da collante. In quest’ottica possiamo scorgere nell’Umanesimo una derivazione puramente rivoluzionaria: si fondava sul recupero dell’antico per consentire di vivere il presente, rifondare una nuova idea di civitas libera da preconcetti e destinata a espandersi a livello intellettuale.
Il recupero dei testi classici infatti non deve essere letto come indice di un’attitudine conservatrice: lo scopo finale, quasi teleologico, era quello di allargare gli strumenti del pensiero in mano agli uomini di quel tempo. Il fine letterario dell’Umanesimo era arricchire le lingue volgari fornendo loro la stessa ricchezza stilistica e retorica di quelle antiche: si andava a operare una ricerca linguistica sopraffina che non aveva a che fare solo con le “belle lettere” e le arti, ma sottintendeva una più necessaria ricerca di identità. Possiamo cogliere nell’Umanesimo un processo di ricerca e rifondazione dell’umano in un’epoca in cui l’umanità era minacciata, dal punto di vista fisico e anche intellettuale. Per questo motivo anche oggi, dinnanzi a certe pericolose derive della nostra società tecnologica, si parla di necessità di un Nuovo Umanesimo, che ricordi di rimettere al centro l’umano, soprattutto il pensiero come potenza creatrice.
L’Umanesimo, alla sua nascita nel Trecento, distaccava l’umanità dalla sua definizione più materiale, biologica, da intendersi in senso scientifico-evoluzionistico e le affibbiava una facoltà spirituale, culturale e ideale.
“Homo sum, humani nihil a me alienum puto”: “sono un uomo, niente di ciò che umano mi è estraneo”, recita una famosa citazione di Terenzio, uno dei maggiori commediografi latini.
Per comprendere l’Umanesimo dobbiamo partire proprio da qui, dal concetto di umano inteso in senso allargato, come principio di sviluppo storico, culturale, sociale. Veniva posta al centro la concezione di “dignità umana”, intesa come qualità che l’uomo può accrescere attraverso lo studio e la conoscenza.
L’Umanesimo e la fine del Medioevo: un’analisi storica
Era, di fatto, la fine del Medioevo e la culla di questo pensiero era la città di Firenze dove iniziava a soffiare un vento nuovo, rivoluzionario, determinato da nuove scoperte scientifiche e geografiche che ridefinivano i rapporti tra scienza e fede, facendo venir meno la visione verticale che aveva caratterizzato i secoli bui medievali. L’uomo aveva guardato a lungo verso l’alto, definendo sé stesso e il proprio ruolo nel mondo in rapporto al divino: ora, invece, le cose stavano iniziando a cambiare, l’invenzione di Gutenberg in Germania incalzava una rivoluzione di pensiero determinante riponendo al centro l’umano - sulla scorta dei testi classici - e riaffermando la capacità umana di definire il proprio destino. Ora l’uomo non guardava più verso l’alto, guardava sé stesso: non la potenza divina e presumibilmente onnipotente, ma la propria volontà creatrice.
Ritroviamo un’interessante attestazione di quanto stava accadendo nella frase pronunciata dall’arcidiacono Frollo in Notre-Dame de Paris di Victor Hugo:
Questo uccide quello.
Nella lapidaria dichiarazione del religioso (ripresa tra l’altro mirabilmente nel musical di Riccardo Cocciante con la canzone Parlami di Firenze, che vede pensiero sacro e profano a confronto) troviamo una limpida disamina di quanto stava accadendo: Frollo profetizza che la “stampa imprimerà la morte sulla pietra”, la Bibbia sulla Chiesa e, infine, il pericolo peggiore, ovvero l’Uomo sopra Dio.
La stampa a caratteri mobili di Gutenberg - che giustamente angosciava l’arcidiacono di Notre-Dame - rappresentò l’apice dell’Umanesimo, decretando la diffusione della cultura e, in definitiva, l’accesso dell’uomo al sapere, permettendo così quell’elevazione spirituale in nome della conoscenza che avrebbe dato origine al Rinascimento.
Umanesimo: i principali esponenti, da Petrarca a Boccaccio
Tra i principali autori umanisti ricordiamo in primis Francesco Petrarca, che diede un nuovo impulso alla ricerca filologica attraverso lo studio di manoscritti e codici antichi. La lingua e lo stile di Petrarca segnano un ritorno alla retorica classica, lottando contro l’imbarbarimento medievale della lingua attuato nell’epoca medievale.
Fu proprio l’autore del Secretum, uno scritto che recuperava lo stile classico adattandolo alla prosa volgare, ad attuare una riscoperta del latino non più in chiave teologica, ma per una necessità antropologica, filosofica (sempre Petrarca si ispirava alla filosofia si Sant’Agostino) e in definitiva in una prospettiva antropocentrica.
Anche l’io scisso e inquieto del Petrarca, il dissidio interiore tra il desiderio di avvicinarsi a Dio e il desiderio di gloria terrena e passione carnale, è esemplificativo del pensiero umanista e della rivoluzione culturale da esso attuata. L’angoscia puramente petrarchesca rifletteva appieno il travaglio culturale della sua epoca, ovvero un periodo storico di transizione.
Segue Giovanni Boccaccio ((1313-1375) che con la sua celebre raccolta di novelle ambientate nel periodo della peste nera, Il Decameron, avrebbe dato un nuovo modello alla prosa volgare. Il capolavoro di Boccaccio segna il nuovo ideale umanistico e favorisce la sua affermazione. Tra i modelli narrativi boccacceschi troviamo infatti autori latini, uno su tutti Apuleio di Madaura, Virgilio e Ovidio, ma soprattutto testi greci, come i Dialoghi di Platone e i libri di Aristotele. Attraverso lo studio e l’assimilazione di queste opere classiche Boccaccio poté maturare il modello della fabula come allegoria da utilizzare in prospettiva filosofica e antropologica. Nell’opera di Giovanni Boccaccio troviamo, nero su bianco, il decisivo passaggio da un pensiero religioso - incarnato dalla visione della Fortuna intesa come Divina Provvidenza - a un pensiero laico e terreno, in cui la Fortuna incarna il destino colto in tutta la sua casualità. Nel Decameron possiamo cogliere la prima commedia umana, ovvero un’opera letteraria che segna un distacco decisivo dal pensiero religioso concepito in ottica biblica.
Tra i principali umanisti del Quattrocento troviamo Leon Battista Alberti, un intellettuale di ampie vedute che incarnò appieno tutti i principi dell’Umanesimo. Fu letterato, ma anche matematico, architetto, storico dell’arte, individuando nel sapere lo scopo principale del proprio destino e una maniera per accrescere la propria virtù. Nelle sue varie opere di narrativa e saggistica pose domande e questioni, non da ultima quella della lingua, valutando la letteratura volgare in relazione a quella classica, riscontrandone analogie e differenze.
Uno dei caposaldi dell’opera di Leon Battista Alberti, uomo poliedrico che dedicò ampia parte della sua vita allo studio dell’archeologia, dell’architettura e dell’arte, è la riflessione sulla realizzazione dell’uomo, affermando il “bene e beato vivere” attraverso l’affermazione della virtù, ovvero la piena affermazione di sé e del proprio talento.
Impossibile tacere il nome del veneziano Aldo Manuzio, grammatico, stampatore, filologo ed editore che avrebbe dato un nuovo impulso all’Umanesimo europeo attraverso le sue mirabili e raffinate edizioni di testi classici: le famose edizioni aldine. Oltre a stampare numerose edizioni di classici, Tucidide, Sofocle, Erodoto, Euripide, Pindaro, Platone, Omero, incoraggiandone le traduzioni, Manuzio fondò l’Accademia Veneta, nella quale radunò studiosi italiani e greci, per incoraggiare una maggiore diffusione dell’ellenismo. Oggi riconosciamo in questo grande stampatore e umanista il principale creatore del prototipo del libro moderno.
Tra gli umanisti italiani possiamo annoverare anche Niccolò Machiavelli, l’autore de Il Principe, che fu fautore di un Umanesimo dal punto di vista politico, impiegando la lingua volgare come scopo del suo trattato ma mostrando sin da subito il proprio debito con i modelli antichi, come si evince già dal titolo originale del suo trattatello, in latino: De principatibus. Nella sua opera Machiavelli pone al centro l’uomo, individuando nel comportamento individuale del singolo la possibilità di orientare gli eventi esterni. Tuttavia già in Machiavelli - siamo infatti nel Cinquecento - troviamo un superamento del pensiero umanista: l’autore è appassionato di storiografia, infarcisce la sua opera politica di exempla e di citazioni dalla cultura latina e greca (pensiamo a Sallustio e Polibio), eppure al contempo si distacca dalla concezione ideale dell’Umanesimo, che lui definisce puramente teorica. Insomma, Machiavelli compie un passo ulteriore, cercando di affiancare al principio dell’uomo virtuoso - perché culturalmente forte - l’attitudine all’azione propria dell’uomo politico. C’è uno scarto dunque tra la morale antica e quella moderna: secondo Machiavelli infatti la politica non deve essere subordinata alla morale, in quanto “Il fine giustifica i mezzi”, e proprio in questa sua concezione troviamo il principio del superamento dell’Umanesimo a favore di un senso pratico che scombinava quella visione sociale armonica professata dagli umanisti, rivelando un intento analitico e affermando la necessità del conflitto sociale.
Machiavelli dunque fa proprio l’uso del lessico umanistico, ma lo stravolge adattandolo ai propri scopi, determinandone l’inevitabile inquadramento a livello politico, che avrebbe portato anche alla fondamentale rivoluzione del concetto antico di “virtus” cui l’autore de Il Principe avrebbe conferito tutt’altro significato.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Umanesimo: cos’è il movimento culturale che recupera la classicità
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