Una rivoluzione sentimentale di Viola Ardone

“Insegno italiano e latino in un liceo in provincia di Napoli e ogni giorno faccio la stessa strada, andata e ritorno. E a volte mi perdo. Soprattutto quando sono stanca o arrabbiata, decido inconsciamente di sbagliare strada per mettermi a vagare in un altrove indefinito. Scelgo di errare per poter errare”.

Una bellissima storia che mi ha affascinata sin dalle prime pagine. Viola Ardone scrive un racconto di riscatto con sullo sfondo una Napoli vera, vivace, una personale ed intima rivoluzione che consuma e logora proprio come la passione, un desiderio che ossessiona l’anima. Cambiamenti che spiazzano il cuore, affetti mancati, sentimenti, intenzioni e convinzioni: guardarsi dentro senza più fingere di non vedere il proprio disagio e il proprio tormento. Un eccellente esercizio di scrittura, un romanzo sorprendente e straordinario. “Una rivoluzione sentimentale” è il secondo romanzo della nostra scrittrice napoletana che, dopo la laurea in Lettere, ha lavorato per diversi anni nel campo dell’editoria e attualmente insegna italiano e latino nei licei, come la protagonista della storia. Zelda, una bella ragazza colta e di famiglia benestante, con una promettente carriera universitaria, ha ricevuto la nomina come docente di italiano e latino a tempo indeterminato in un liceo della periferia. Un concorso vinto negli anni passati e affrontato con lo scopo di non fare l’insegnante. Voleva diventare una ricercatrice, e lo era. Una giovane studiosa che aveva trascorso quegli anni tra pubblicazioni scientifiche e la malattia della madre ricoverata in una casa di cura, tra un amore vissuto con troppa normalità che “la sollevava dalla sua indurita solitudine”, e il desiderio di scrivere il suo romanzo sulla Rivoluzione napoletana del 1799 e su Donna Elvira.

“Donna Elvira Sanseverino, china sul suo scrittoio, vergava pagine piene di passione e amor di patria, che all’indomani, una volta rese pubbliche dalle colonne del giornale da lei stessa diretto, avrebbero infiammato gli animi dei giacobini. La nostra Rivoluzione, essendo una rivoluzione passiva, l’unico mezzo per condurla a buon fine è quella di guadagnare l’opinione del popolo”.

Zelda era consapevole che cambiando lavoro avrebbe cambiato la sua vita. Il suo primo giorno di scuola allontana il timore e la paura di entrare nella classe della VQ del Liceo Scientifico di Scogliano, pronta a iniziare la lezione con “Lettera ad una professoressa”. Ci vorrà poco per sentirsi smarrita, per rendersi conto che tra fiéto, rumori, divertiti sorrisi e una lingua dialettale incomprensibile quella era una realtà a lei lontana, che non le apparteneva. Ragazzi invisibili con vite già segnate come erano state quelle dei loro padri e delle loro madri. Vite senza opportunità. Nella terra dei veleni, di frontiera, in quel luogo distante come se fosse in un altro pianeta tra bar di camorra, pizzerie di camorra, tra scatole di ferro, tranci di materassi dilaniati, frigoriferi rotti e carcasse di televisori, Zelda vedeva una “umanità misteriosa” che tra puzza di bruciato e roghi tossici si ribellava. Eppure quella, in quel posto lontanissimo e diverso, era la sua città.

“…io lavoro qui e conosco la puzza del dolore e il segreto di quelli che salgono queste scale con il peso della disperazione. Perché la disperazione è contagiosa…”

E leggerà tra le parole scritte dei suoi alunni la speranza e la voglia crescente che qualcosa nel loro destino poteva cambiare, che si poteva ancora desiderare. Una opportunità anche per Zelda di vivere una sua personale ed intima rivoluzione. Si dividerà tra il ricordo della villa di famiglia, delle stanze e dei saloni, delle buone maniere, della madre dalla faccia dura con le labbra in dentro, muta ed egoista, gelosa della sua felicità, ed i suoi alunni coraggiosi nel lottare per l’intera comunità. Un’insurrezione sentimentale che la nostra protagonista aspettava da tempo e che la porterà a fare i conti con i suoi dolori e le scelte della sua vita.