

Una vita, ancora
- Autore: Theodor Kallifatides
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Voland
- Anno di pubblicazione: 2024
Il cosiddetto blocco dello scrittore comprende un ventaglio di situazioni riconducibili all’ansia della pagina bianca, quando l’immaginazione si spegne, le parole per dare corpo alle idee giocano a nascondino, il timore di produrre scritti inferiori ai precedenti si accompagna a quello del giudizio altrui. In questi frangenti spesso l’età non c’entra: José Saramago, Jorge Luis Borges o Andrea Camilleri non hanno forse mantenuto fino alla fine un’intensa produzione letteraria?
In Una vita, ancora (Ännu ett liv) di Theodor Kallifatides (Voland, 2024, traduzione di Carmen Giorgetti Cima), ambientato a Stoccolma nel 2015, dopo l’ultimo romanzo lo scrittore protagonista, prossimo a spegnere ottanta candeline, si sente un “ex scrittore congelato”, esausto, senza ispirazione, sopraffatto dal peso degli anni, del fallimento e dal terrore di essere deriso in un’età segnata dal pensiero costante e incomprensibile della morte. Senza la scrittura le giornate sembrano interminabili e il paesaggio nordico tanto amato perde ogni attrattiva. A questo punto è costretto a riorganizzare la sua vita ancorata a una routine che da decenni aveva il suo baricentro nella scrittura, che da un lato appagava tutti i suoi bisogni ma dall’altro non era esente da fatica, tempi morti e frustrazioni. Sapete cosa gli manca di più? Rinunciare alla compagnia delle eroine create dalla sua penna, che sembrano vivere di vita propria per l’empatia con cui il protagonista ne parla. E poi, malgrado i propositi, smettere di scrivere non è affatto facile.
In questo memoir autobiografico che deve molto al saggio di critica sociale, il passo narrativo assume cadenze discontinue e capricciose tra passato e presente, Grecia e Svezia, alternando aneddoti, ricordi, riflessioni, riferimenti letterari, ma una prosa cristallina di sobria eleganza tiene in asse l’insieme.
Il protagonista-voce narrante scava a fondo per individuare le radici della crisi creativa, riporta svogliato alcuni passatempi sostitutivi alla scrittura, ma poco consolatori, come ascoltare musica o giocare a scacchi contro il computer. Ai suoi occhi da disoccupato anche il ménage coniugale cambia colore e offre l’occasione per riflettere sul ruolo del lavoro per l’individuo. Si abbandona ad amare considerazioni politiche sulla Svezia, quel modello di socialdemocrazia progressista che negli anni Sessanta aveva accolto lui, giovane greco in fuga dal suo paese sotto la Dittatura militare dei colonnelli.
Era tempo di emigrare da me stesso così come ero emigrato dal mio paese. […] Mi ero gettato una pietra nera dietro le spalle, come si usa dire nel mio villaggio natale quando uno ha deciso di lasciare tutto. Eppure non potevo dimenticare. La Grecia e il greco mi mancavano sempre di più.
Il senso di estraneità, concomitante alla mancanza di ispirazione, che comincia ad attanagliarlo perfino tra le pareti domestiche o nei luoghi del cuore sferzati dal vento e dal mare lo insegue anche ad Atene, dove decide di tornare insieme alla moglie svedese approfittando di un invito ufficiale. Spinto dalla nostalgia e dalla consapevolezza che per un uomo avanti negli anni c’è spazio solo per il passato, va in cerca delle sue radici e della creatività smarrita, ignaro delle conseguenze. Infatti se il neocapitalismo, il consumismo e l’edonismo hanno fatto perdere alla Svezia la sua innocenza, in Grecia i problemi economici hanno stravolto il tessuto sociale. Troverà un ubi consistam? E dove?
Per cogliere l’anima di questo libro lucido, critico, malinconico e a tratti struggente, occorre conoscere il profilo dell’autore dalla vita piena e particolare. Classe 1938, Theodor Kallifatides è nato in Grecia, ma negli anni Sessanta per motivi politici emigra in Svezia dove vive tuttora. Dopo disparate esperienze lavorative e una laurea in filosofia presso l’Università di Stoccolma, si è affermato come scrittore in lingua svedese. Autore pluripremiato e prolifico, ha all’attivo più di 40 titoli pubblicati in tutto il mondo tra narrativa, saggistica, poesia, traduzioni, sceneggiature e un’esperienza registica.
La crisi creativa del protagonista scrittore coincide con una crisi identitaria che rischia di diventare la normalità, perché il personaggio è sempre sdoppiato o fuori chiave come direbbe Pirandello. Osserva il paese d’adozione dall’interno e dall’esterno e quando rivede la terra natia a prevalere è il disorientamento che gli specialisti chiamano shock culturale inverso. Cosa significa per un emigrato tornare a casa? Infatti – questo è uno degli aspetti più interessanti del libro – le dinamiche del ritorno sono ancora più complesse dell’inserimento in una realtà nuova, dove è il desiderio di adattamento ad avere la meglio. Non solo l’esperienza all’estero ha reso più sfaccettato il concetto di casa, ma l’idealizzazione del passato lasciato alle spalle è destinato a scontrarsi con i cambiamenti che investono di colpo chi torna alle sue origini.
Avrei voluto che tutto fosse ancora come prima. È il dramma dell’emigrante. La realtà che ha lasciato non esiste più, ma è proprio quella a richiamarlo
Una vita, ancora di Theodor Kallifatides ci regala una lettura autentica e profonda che si interroga sui fattori identitari in un mondo votato alla trasformazione dove i primi a cambiare siamo noi.

Una vita, ancora (Intrecci)
Amazon.it: 7,49 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Un libro perfetto per...
A chi si interessa di storie vere, di problemi sociali tra cui l’emigrazione di ritorno.
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Una vita, ancora
Lascia il tuo commento