Urla a bassa voce. Dal buio del 41 bis e del fine pena mai
- Autore: Non disponibile
- Genere: Politica ed economia
- Anno di pubblicazione: 2012
Le male bolge sono adesso e qui. Dentro, però, non cercateci fuoco, fiamme, satanassi assortiti: i gironi infernali dove si osserva la faccia vera della (finto)democrazia hanno protagonisti e scenografie meno eclatanti e contemplano, piuttosto, una folla di sepolti vivi, morti viventi nel buco nero delle carceri italiane. Stiamo parlando dei 1200 condannati all’ergastolo ostativo - zero diritti e nessun beneficio -, il popolo delle ombre che lo Stato ha deciso di imprigionare gettando via la chiave: l’incivile risposta all’inasprimento delle pene previste dalla lotta (?) alla criminalità organizzata. Sono i figli degeneri di mafia, ‘ndrangheta e camorra, vite allo sbando dagli accenti meridionali, carnefici e martiri al contempo di una lotta per la vita che non prevede vittorie, non ne ha mai previste: né santi né mostri, né innocenti né collaboratori di giustizia: una contraddizione vivente, la smentita “di fatto” che la detenzione punti al recupero del condannato.
“Urla a bassa voce. Dal buio del 41 bis e del fine pena mai” (Stampa Alternativa, 2012) è un libro scritto da loro per noi, per gli altri, per quelli che giudicano senza sapere, per partito preso, da “fuori”. Un libro dell’orrore - un orrore ontologico - che sgomenta, indigna, fa pensare. Una raccolta di racconti dall’oltre-confine, fermo immagini di un interno-mondo uguale solo a se stesso, ore (vuote) che fanno ore (vuote), giorni che fanno mesi, che fanno anni, che fanno una vita intera tra clangore di chiavi e sbarre di metallo: lo stato delle cose, la prostrazione fisica, psicologica, morale, di chi sa che è condannato a morire in carcere, di carcere.
Qualche cifra dell’abiezione (del diritto): dopo dieci anni di pena, l’ergastolano comune può beneficiare di permessi premio; dopo venti può essere ammesso al regime di semi-libertà; dopo ventisei può essere ammesso alla liberazione condizionale. L’ergastolano ostativo no. Se non collabora con la giustizia non potrà mai uscire dal carcere, se non diventa delatore (l’eufemismo sarebbe quello di “pentito”, o “collaboratore di giustizia”), se non condanna in vece sua un altro come lui, il suo futuro è segnato, è quello di non avere futuro. Una lunghissima agonia da vivo prima della morte fisica. Come sottolinea Giuseppe Ferraro (professore di Filosofia della Morale) nell’appendice al volume:
“(…) l’ergastolo ostativo è come un’eutanasia rovesciata e ammessa. Si tiene in morte chi è in vita (…) Senza andare oltre basta fermarsi all’ipocrisia di un Paese, il nostro, che ha chiesto la moratoria per la pena di morte e continua a mantenere il carcere a vita. Se si guarda poi alla condizione delle carceri nel cuore dell’Europa, lo scarto di democrazia è ancora più evidente. Accade che negli Stati Uniti denucino come tortura il 41 bis e accade che il Brasile a ragione del rifiuto di un’estradizione (il riferimento è alla vicenda Battisti, ndr) ci ricorda il “fine pena mai” (…) Il carcere è lo specchio infranto della società. Quello in cui la democrazia s’infrange”.
Ottimamente curato dalla giornalista Rai Francesca De Carolis, “Urla a bassa voce” è - per diversi motivi - una scioccante corale alla fine del viaggio (dei sogni, della politica, del diritto, della società civile), una perenne via crucis consumata per stazioni - la vita in carcere, gli affetti, la morte, la fede, l’uccidere, il perdono, le tante riflessioni -; il libro nero per antonomasia del nostro stato di diritto. Utile per ricordarsi di ricordare che la vendetta (compresa quella più subdola, di Stato) non può mai essere un atto di giustizia. La prefazione al libro è di don Luigi Ciotti.
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