Viaggio nella notte di Massimiliano Santarossa

Quella di "Viaggio nella notte" (Hacca, 2012) non è una semplice lettura, bensì una discesa asfissiante nell’inferno privato dell’anonimo protagonista di questo romanzo.

Massimiliano Santarossa dipinge l’ultimo giorno di vita di un operaio disperato e disilluso dalla piega che ha preso non solo la sua esistenza, ma anche quella di chiunque lo circondi.
L’industrializzazione ha spazzato via tutto ciò che di buono era rimasto nel suo territorio, portando con sé inquinamento fisico e morale, oltre alle mastodontiche illusioni di benessere e ricchezza: chiunque abbia abboccato all’amo ne è rimasto schiavo, trascinando le proprie catene lungo i sudici binari di una vita che non offre nient’altro all’infuori della maledetta fabbrica e delle depressive mura domestiche.

Nelle pagine di "Viaggio nella notte" non c’è posto per i sentimenti positivi, le passioni, i sogni o le possibilità: non c’è posto per la creatività nelle giornate del protagonista, ma soltanto magre consolazioni. Le droghe sintetiche e l’aspirazione suicida sembrano le uniche soluzioni possibili al dolore, ai rimpianti, all’immobilità, alla periferia. L’asfalto, le pozzanghere di pioggia acida, le allucinazione psicoindotte e il perpetuo camminare del protagonista ti stringono in una morsa immobilizzante dove l’unico rumore che ti riesce a distrarre è quello meccanico della catena di montaggio.

La scrittura di Santarossa è metallica, volutamente ridondante, chiara e per nulla pretenziosa: non dà scampo neanche dopo aver chiuso il libro. "Viaggio nella notte" è un libro doloroso, claustrofobico, che lascia sbigottiti di fronte all’ingiusta, terrificante, rassegnazione del suo protagonista; è un libro difficile, da cui difendersi sguainando la spada più affilata fra quelle a disposizione: anche questo un modo intelligente da parte dell’autore di stimolare i propri lettori.