Vincere è l’unica cosa che conta
- Autore: Franco Causio, Italo Cucci
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Sperling & Kupfer
- Anno di pubblicazione: 2015
“Lo chiamavano Barone, anche Brazil”
Franco Causio da ragazzo era milanista. Strano per un leccese, il Salento è da sempre feudo della tifoseria zebrata, ma il futuro campione juventino stravedeva per Rivera, il suo idolo. Lo confessa nel libro “Vincere è l’unica cosa che conta” , (edito da Sperling & Kupfer, 156 pagine 18 euro) che ha scritto a quattro mani col grande giornalista sportivo Italo Cucci.
Bianconero da una vita, si legge in copertina, dove un Causio in maglia a strisce bianche e nere verticali abbraccia felice un compagno di squadra, col numero 9 sulle spalle (si direbbe Paolo Rossi, considerate statura e capigliatura).
Il suo cuore è rimasto alla Juve, confida e il mondo ha continuato a considerarlo juventino: col club torinese il calciatore classe 1949 ha giocato 447 partite, segnato 71 reti, vinto 6 scudetti, una Coppa Uefa e una Coppa Italia. Se gli si cava il sangue, viene fuori liquido bianconero e il cuore batte per quei colori, oltre che per la sua bella famiglia e gli indimenticabili genitori, babbo Oronzo e mamma Anna. Riconosce di dovere tutto a loro, il cui ricordo ricorre spesso nelle pagine. Il buon papà scavallava a portare bombole a gas nelle case col suo Ape Piaggio. La madre, casalinga, lavorava sodo in casa.
Lavoro, fatica, profondo Sud: è per quello che Franco si sente tanto legato alla squadra più meridionale del Paese, pur essendo una società nata sotto le Alpi. I torinesi guardano altezzosamente solo al Toro, ma agli occhi dei tanti saliti nella nebbia a fabbricare il boom economico nelle fabbriche della Mole la Juventus, era il riscatto, la redenzione, spiega. I “terroni” erano grandi lavoratori e quella era una grande squadra vincente, non di Torino o non solo, ma di tutta l’Italia, isole comprese.
E dire che da giovane calciatore aveva rischiato di diventare torinista. Era stato sotto esame al Filadelfia, valutato dai vertici granata, perchè il secondo di Nereo Rocco – un certo Enzo Bearzot, che avrà un ruolo nella vita di Causio e del calcio italiano – aveva intuito le sue potenzialità. Ma il Paròn aveva bocciato il ragazzino:
“xè bon, ma no g’ha fisico”
Respinto nel Salento.
Poi era arrivata una leva calcistica collettiva. Gli addetti ai lavori avevano radunato tanti giocatorini nello stadio di Forlì. Dopo appena dieci minuti della sua partita, un tale gli aveva detto di uscire, che poteva bastare. Era Luciano Moggi, osservatore per conto della Juve. Contrattino, col permesso del papà e via a Torino, poi in prestito con diritto di riscatto a Reggio Calabria e a Palermo, dove nella partita di campionato con la Juventus lo nota Boniperti, gran fiuto da talent scout. Venne richiamato sotto la Mole e messo a disposizione di un allenatore giovane, capace e sfortunato – morirà di lì a poco – Armando Picchi, in compagnia di una nidiata di ragazzi promettenti: Anastasi, Capello, Bettega, Spinosi, Furino. Arriveranno anche Claudio gentile e Marco Tardelli, “Schizzo”, nervosissimo, soffriva le vigile come nessuno, Franco lo chiama il Coyote. Proprio non riusciva a dormire.
Nasce così la grande Juventus del ciclo che Trapattoni renderà storico.
La carriera di Causio e il libro si sviluppano tra Juve e nazionale. Fu lui a sostituire la generazione di Mazzola e Rivera in Azzurro, dopo il fallimento dei Mondiali 1974. Era uno dei 9 bianconeri titolari su 11 che dettero spettacolo al Mundial argentino del 1978, pur dovendosi accontentare del quarto posto. Ha messo la firma anche sul Campionato del Mondo vinto meritatamente dai nostri nel 1982 in Spagna. Aveva 33 anni e ormai giocava nell’Udinese, pur ricordando con rabbia e tra le lacrime il passato nella Juve, da cui lo aveva allontanato il Trap, che gli preferiva i più giovani Fanna e Marocchino.
Nel Mondiale dell’apoteosi giocò il secondo tempo col Perù nel girone di qualificazione e visse con eccitazione sul prato del Bernabeu gli ultimi minuti della finalissima contro la Germania, mandato in campo a condividere il successo proprio da quel Bearzot al quale lo lega un ricordo grato.
Partite e partita: quella a scopone, sull’aereo presidenziale, immortalata da scatti e filmati. Il presidente in coppia con Zoff, lui con Enzo e vinsero, per una genialata di Franco, che gettando un sette malandrino indusse in errore il portierone, sgridato da Pertini.
Si scopre nel libro che l’uomo di calcio amava ed ama leggere buoni libri. Causio, che Caminiti soprannominò Brazil, per le finte e movenze e Fulvio Conti de La Stampa chiamò Barone, per la ricercatezza nel vestire:
“sembri un baronetto”
Il più bravo sulla fascia destra della sua generazione?
“Bruno Conti”
ricorda
“è stato un grande, così come Claudio Sala, ma il più forte rimane Causio. C’est moi!”
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Vincere è l’unica cosa che conta
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