

Vini, spezie, pastelli volativi e confetti di zucchero
- Autore: Davide Chiolero
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Graphe.it edizioni
- Anno di pubblicazione: 2025
Vini, spezie, pastelli volativi e confetti di zucchero. Breve storia della cucina e dell’alimentazione nel Medioevo (Graphe.it, 2025) è un saggio scritto da Davide Chiolero, laureato in Scienze Storiche all’Università degli Studi di Torino e membro della redazione di “Arma Virumque”, rivista universitaria torinese di storia militare, che affronta con metodo scientifico l’arte culinaria medievale, parlando del legame fra dieta e religione e del diverso apporto della civiltà romana rispetto a quelle identificate come barbariche. Una ricerca con la quale l’autore provvede a sfatare alcuni dei falsi miti legati alla cucina medievale, che la descrivono come povera, vicina alla tradizione casalinga dei nostri nonni, semplice, grezza, poco artificiosa.
L’immagine che, più di tutte, è ricorrente è quella di un maiale che gira su uno spiedo e di un grande pentolone nel quale sobbollono zuppe di verdure e cereali.
Una parziale verità, perché se è vero che zuppe e minestre di verdure e di cavoli sono state ampiamente consumate dalla stragrande maggioranza della popolazione, come è altrettanto vero che la cucina popolare fosse rimasta relativamente simile per secoli, quella delle classi sociali elevate, rappresentate dalla nobiltà e successivamente dalla borghesia, era una cucina molto elaborata, ricca di sapori, colori e spezie. Perché, in realtà, il Medioevo era un’epoca ricca di scambi commerciali e culturali, tanto che la cucina europea era molto aperta ai sapori di altre parti del mondo.
Altro mito da sfatare è l’utilizzo della spezie per coprire lo sgradevole odore delle carni andate a male, nella convinzione che nel Medioevo si mangiassero carni così frollate da essere avariate. Questi aromi erano un prodotto di lusso estremamente costoso e chiunque potesse acquistarli poteva anche procurarsi con facilità della materia prima trattata da macellai e pescivendoli, sottoposta a controlli e disposizioni molto dettagliate delle autorità.
Inoltre, sul finire del XIII secolo apparvero i primi trattati di cucina, sintomo di un nuovo modo di vivere, basati più sull’eleganza e la raffinatezza che sulla forza. I ricettari medievali erano privi delle dosi degli ingredienti e piuttosto sintetici, indizio che potevano essere dei testi scritti da cuochi per cuochi, persone capaci di destreggiarsi nell’uso di ingredienti oppure rivolti agli organizzatori dei banchetti e persino alle spose di ricchi borghesi.
La cucina medievale era caratterizzata da una certa forma di discriminazione sociale. La dieta dei meno abbienti era basata, generalmente, sul consumo di prodotti locali di origine vegetale come ortaggi, cipolle, porri, aglio e cereali. Le fonti proteiche principali erano composte da uova, carni fresche di animali vecchi o, più comunemente, salate o fermentate, insieme ad altri prodotti conservati. I più facoltosi, al contrario, consumavano in prevalenza alimenti freschi e spezie, simbolo della ricchezza e del potere, perché più costosi e provenienti da paesi lontani. La religione, con la sua alternanza tra periodi di grasso e periodi di magro basati sugli obblighi liturgici, condizionava la scelta delle pietanze. Durante i periodi di magro non potevano essere consumati i prodotti di origine animale, a esclusione del pesce.
C’era una sostanziale differenza tra il sistema romano e quello barbaro: il primo era basato su pane, vino e olio, il secondo incentrato sulla carne, preferita a tutti gli altri alimenti per presunte proprietà dietetiche, birra e lardo. Il periodo durante il quale questi due sistemi alimentari vennero a contatto, per poi fondersi, è quello delle grandi migrazioni avvenute durante il tardo antico. Tuttavia, la triade del sistema alimentare romano sopravvisse in epoca medievale grazie alla mediazione del cristianesimo, tanto che il sistema alimentare medievale finì per basarsi sul consumo di carne, lardo/olio, pane, vino, una vittoria del Cristianesimo sul paganesimo e della società colta sulla barbarie.
Nel Medioevo era diffusa una cucina di sintesi, basata sul contrasto, dove al cuoco spettava il compito di creare un piatto originale, inesistente in natura, nel quale i singoli ingredienti si fondevano e perdevano la propria identità.
La trinità gustativa fondamentale della cucina medievale era costituita da forte (che non coincideva necessariamente con il piccante), dolce e acido.
Altro fattore che caratterizzava fortemente la cucina del periodo sono le convinzioni dietetiche e mediche del tempo che, di pari passo con la religione, dettavano le regole alimentari, sebbene queste talvolta venissero superate dai gusti. Le teorie dell’epoca, basate perlopiù sullo studio di medici dell’antichità come Ippocrate o Galeno, ipotizzavano che lo stomaco fosse una sorta di caldaia e come tale doveva, quindi, essere riscaldato e preparato al susseguirsi di numerose portate.
Le classi elitarie nel Medioevo hanno abbondantemente fatto uso dell’ostentazione della loro ricchezza durante i banchetti. Il lusso era percepibile non solo nei piatti portati a tavola ma anche dalla durata, dagli elementi di decoro della tavola stessa, dalle vesti e livree degli inservienti e dagli intrattenimenti tra una portata e l’altra.
Insomma, la cucina medievale attrae e colpisce per la novità che rappresenta ai nostri occhi e, in particolare, per il paradosso che costituisce. È, infatti, una cultura gastronomica nella quale possiamo riconoscere tradizioni culinarie a noi proprie e, al contempo, che ci lascia stupefatti per le grandi differenze nel gusto, per la magnificenza, l’uso dei colori e delle spezie, e per la sua dimensione simbolica e sociale.
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