Vivere mi uccide
- Autore: Paul Smaïl
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: minimum fax
- Anno di pubblicazione: 2022
Paul Smaïl è uno degli svariati pseudonimi di Jack-Alain Léger, scrittore, traduttore e musicista francese, autore di Vivere mi uccide, pubblicato nel 1997 in Francia e arrivato in Italia a maggio di quest’anno grazie a minimum fax, con la traduzione di Lorenza Pieri.
«Chiamatemi Smaïl».
L’incipit non lascia dubbi sull’intento dell’autore di narrare la vita di due fratelli, Paul e Daniel, francesi di seconda generazione e di origine marocchina, tenendo traccia del capolavoro ottocentesco Moby Dick di Herman Melville.
Come il capitano Achab lotta per catturare la Balena Bianca, così il giovane Paul vive nelle contraddizioni di una società che lo vede e lo vedrà sempre «da marocchino, da magrebino, da africano, da zulù, da scimmia, da mangiabanane, da africano, da extracomunitario» e nel cercare lavoro ci imbatterà «sempre un candidato meno nero di me, coi capelli meno crespi, la pelle dalla grana meno spessa, il naso meno camuso».
Il romanzo è strutturato utilizzando la prima persona. Paul che decide di diventare uno scrittore così da narrare la loro storia, unica soluzione per non impazzire e dare voce alle loro vite da invisibili e per una sorta di «malattia imbarazzante che ho contratto durante l’infanzia: la passione per la lettura.»
Sfruttando il lavoro di guardiano di notte in un motel a ore, Paul racconta o forse sarebbe meglio dire che urla la vita della sua famiglia.
Il rapporto tra i due fratelli è intenso e bellissimo fin dall’infanzia quando Paul inizia a leggere L’isola del tesoro o Moby Dick la sera prima di addormentarsi, perdendosi così in un mondo avventuroso tanto che il fratellino diventerà in modo affettuoso Queequeg e Paul il capitano Achab.
Il loro quotidiano è una lotta senza tregua contro pregiudizi, atti di bullismo e continue discriminazioni; odiati dagli arabi perché sono francesi e dai francesi perché sono arabi i due fratelli saranno costretti a crescere e vivere, sostanzialmente, in una sorta di limbo, una specie di girone dantesco verso il nulla che però li porta, poco alla volta, a snaturarsi, a perdere identità, a non ritrovarsi più.
Paul, sebbene laureato in Letteratura comparata, si dovrà accontentare di consegnare le pizze e lavorare come guardiano mentre il fratello, che si allena come pugile e bodybuilder, finirà per essere sopraffatto dal doping cadendo vittima di se stesso.
I brevi capitoli del romanzo sono strutturati quasi fossero delle improvvise immagini cinematografiche, e conducono il lettore avanti e indietro nella vita dei due fratelli raccogliendo la rabbia, il dolore e quello stato di totale impotenza davanti a una società che non ti chiede «di essere te stesso in questo mondo, ma di assomigliare il più possibile all’immagine preconfezionata che hanno di te.»
Per quanti sforzi tentino di fare per condurre una vita serena, verranno sempre riportati verso il basso, trascinati verso il male come se tutto fosse già predefinito e non ci fosse altre soluzione.
La scrittura di Paul Smaïl è graffiante, diretta e non offre alternative, esattamente come la società in cui viviamo, che delinea tutti nel momento stesso della nascita, come se tutto fosse già stato predeterminato e non ci fosse alcuna possibilità di riscatto, come se l’unica possibilità di sopravvivenza fosse quella di rintanarsi nel punto esatto in cui il destino ha deciso di farci venire al mondo e aspettare.
«Se ci pungete, forse noi non sanguiniamo?
Se ci avvelenate, forse noi non moriamo?
E se ci fate torto, non dovremmo vendicarci?
E se per il resto siamo come voi, vi assomiglieremo anche in questo…»
Vivere mi uccide
Amazon.it: 15,20 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Vivere mi uccide
Lascia il tuo commento