Vladimir Vjsotskij. Volodja
- Autore: Sergio Secondiano Sacchi
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Casa editrice: Giunti
IL CANTANTE DEL POPOLO - Un uomo contro, un uomo solo, insofferente, inquieto. Attore, poeta, cantautore ante litteram.
Questo - e molto altro ancora - è stato Vladimir Vysotskij. Uno straniero in patria: idolatrato dal suo popolo (in modo sorprendentemente trasversale), ma disconosciuto dal regime sovietico per le cose che cantava e per come le cantava. L’icona principale della cultura russa, malgrado l’alcol e le chiacchiere sul suo conto. Una sorta di leggenda musicale che a distanza di quasi trent’anni dalla morte, rivive anche in Italia grazie a dischi (il più recente è "Il cantante al microfono" di Eugenio Finardi) e a questo ottimo libro, curato da Sergio Secondiano Sacchi per Giunti.
Un’opera meticolosa di ricostruzione critica e biografica, che esplora le molteplici sfaccettature di quello che a tutti gli effetti è possibile assimilare al nostro Fabrizio De Andrè: molto più che un semplice cantautore. Dalla parte degli ultimi - con coraggio - nel contesto opprimente dell’Unione Sovietica del ventennio Sessanta/Ottanta. I suoi temi abbracciano l’alto e il basso: dalla miseria alla metafisica, dai gulag allo sport, dalla denuncia civile ai sentimenti. Come si evince dal compendio di canzoni (una trentina, tra le più rappresentative del suo corposo repertorio, tradotte con efficacia da Secondiano Sacchi) allegato al volume. "Volodja" si completa con i contributi di Filippo Dal Como e Demetrio Volcic, che aiutano ulteriormente a far luce sull’aspetto musicale e su quello artistico/umano dell’autore.
In un momento storico in cui la canzone parrebbe essere divenuta mera contingenza, merce da reality di basso contenuto pop, le parole che seguono di Vysotskij andrebbero assunte a propedeutica per tutti:
“Le canzoni devono migliorare l’uomo. Non perchè debbano nobilitarlo ma perchè devono spingerlo a pensare. Abbiamo fatto il nostro dovere quando spingiamo lo spettatore a pensare in modo autonomo, per questo non ho nessuno scrupolo a cantare anche le cose più pungenti.”
Chi ha detto che a canzoni non si possano fare rivoluzioni?
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