La donna che scriveva racconti di Lucia Berlin

Diamo merito a Bollati Boringhieri di aver pubblicato quest’anno “La donna che scriveva racconti” (titolo originale A Manual for Cleaning Women. Selected Stories) di Lucia Berlin. Quarantatre racconti, scritti tra gli anni ’60 e ’80, che portano alla luce una delle scrittrici americane di racconti che può e dev’essere annoverata accanto alle maestre del genere, come Alice Munro, Doris Lessing, Angela Carter, Dorothy Parker e altre.
Una raccolta delle migliori opere della scrittrice che ci descrive, solo come lei sa fare, frammenti della sua vita quotidiana, all’insegna della sopravvivenza. Storie rigorosamente vere anche se non sempre autobiografiche. Una vita difficile, tormentata dalla scoliosi, dalla povertà, da matrimoni sfortunati, dalla ricerca costante di lavori che le permettessero di dar da mangiare ai suoi quattro figli. La sua vita un girovagare senza mai fissa dimora (Messico, Colorado, Arizona, New York), seguendo i suoi affetti, il padre, la madre, i tre mariti; cambiando lavoro: insegnante di liceo, donna delle pulizie, centralinista, assistente di un medico e infermiera, al contempo scrivendo, crescendo i figli, bevendo e sconfiggendo infine l’alcolismo.

I suoi racconti, mai di denuncia, accennano a molti temi scottanti quali l’alcolismo, il razzismo, il sistema sanitario americano, i senza tetto, le molestie sessuali, il suicidio e la crisi economica. Lucia Berlin con una narrazione onnisciente ci presenta senza finti sentimentalismi ma con un profondo rispetto dell’altro tanti personaggi incontrati sul suo cammino:

“un vecchio indiano americano incontrato in una lavanderia; una ragazza giovanissima che scappa da una clinica messicana di aborti per ricche americane; la suora di una scuola cattolica; un’insegnante gay. Ma soprattutto, una domestica che ritrae, lapidaria ma benevola, le «signore» (e anche qualche «signore») per cui lavora: una storia indimenticabile, che dà il titolo all’edizione americana del libro, ‘A Manual for Women Cleaning’”

Racconti brevi ma duri, molto duri, etichettati come Dirty Realism e per questo paragonati ai migliori racconti di Cechov e Saunders, scrittori che lei amò molto. La sua scrittura pulita, scevra da ogni inutile ornamento, va dritta al cuore.