…e distillando sogni. L’alchimia dei cantautori e la poetica di Stefano Rosso
- Autore: Santino Mirabella
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2013
Ci mette più di trenta pagine, Santino Mirabella, ad inquadrare in premessa lo statuto epistemologico - tra storia e contro-storia, teoria e prassi discografiche - del cantautorato italiano. Intorno all’estenuante ermeneutica instauratasi intorno al termine “cantautore”, mi imbatto (a p. 31) in una ilare quanto fulgida definizione di Francesco Guccini . Una definizione-boutade da mandare a memoria.
“Nella trasmissione di Fabio Fazio ‘Quello che non ho’ del 15 maggio 2012 Francesco Guccini, studiando una definizione di cantautore (…) disse che il cantautore non è uno chansonnier (…), non è un cantastorie (…), non è un cantore (…), ma un ibrido: è un ‘cammellopardo’, come gli antichi romani, non sapendo cosa fossero, chiamarono le giraffe, per il corpo da cammello e i colori da leopardo”.
È un libro denso di cose come questa - episodi, storie, chiacchierate, dischi, interviste, scampoli di vita - “…e distillando sogni. L’alchimia dei cantautori e la poetica di Stefano Rosso” (Aracne, 2013). A firmarlo, il magistrato-scrittore, frequentatore fra l’altro di minimi e massimi sistemi cantautorali, Santino Mirabella di cui sopra. Catanese come il sottoscritto e più del sottoscritto incline al biografismo artistico su Stefano Rosso, ricordato quasi esclusivamente per la dissacrante Una storia disonesta (quella di “che bello, due amici, una chitarra e uno spinello”), in realtà firmatario di una vagonata di canzoni belle & significanti lunga così. La sua discografia (sullo sfondo di quella dei maggiori cantautori italiani) è affrontata da Santino Mirabella in sacrosanta controtendenza analitica, con la dovizia che si deve agli autori più di spessore: nota per nota, disco per disco, canzone per canzone. Ne viene fuori un testo apologetico che non trascura le ombre, un saggio (quindi) sincero, narrativo, ibrido ma in senso quasi poetico: un po’ amarcordiano, un po’ speculativo, un po’ omaggiante uno dei cantautori più sottaciuti dalla critica e dalla discografia degli ultimi cinquant’anni.
Stefano Rosso appartiene infatti alla schiera dei grandi sottaciuti della canzone italiana. Fa parte del novero di quelli troppo in fretta dimenticati. Dei subito rimossi. Come un parente scomodo, uno che non si è capito (o non si è voluto capire) mai del tutto, e che è meglio quindi dimenticare e amen. Secondo il luogo comune critico Stefano Rosso è passato alla storia del cantautorato italiano come
“voce irriverente, dalla vena schietta e tendenzialmente comica”.
Ma Stefano Rosso era molto, molto di più. Nel senso che la sua comicità era consustanziale all’aspetto tragico della vita. Alla pensosità. Perché “divertente” può anche starci, ma alla maniera malincomica di un Massimo Troisi. Tra testo e sottotesto, si individua nelle sue canzoni l’umbratilità tipica di chi usa lo sberleffo come arma di difesa contro lo sgomento esistenziale; e ancora la fragilità ontologica, un certo amaro disincanto nei confronti della vita.
Caratteristiche - poetiche, umane - che traspaiono (vivaddio!) dalla lettura biografico-analitica di Santino Mirabella, che connota il suo libro di almeno un altro paio di meriti: il primo: riesce a farti venire la voglia di riascoltare, uno per uno, i dischi di Rosso, anche se, come il sottoscritto, li conosci ormai a memoria; il secondo: inerisce al fatto che si vede a occhio che “…e distillando sogni” è scritto da uno scrittore vero, piuttosto che dall’ennesimo giornalista-saggista autoreferente di turno. Le prefazioni illustri di Claudio Lolli e di Franco Battiato sono altresì garanti della statura del volume.
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