L’ultima erede del castello di Harcourt
- Autore: Simona De Santis
- Genere: Horror e Gotico
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Gremese
- Anno di pubblicazione: 2016
Il primo capitolo è teso come la più canonica delle corde, e i dialoghi funzionano. Hai l’impressione, insomma, che “L’ultima erede del castello di Harcourt” di Simona De Santis (Gremese, 2016) possa risultare un thriller capace di fare sul serio. Verso pagina 50 il lettore ne ha già viste di tutti i colori, coinvolto nelle disavventure della protagonista-psichiatra, ex bimba dai poteri magici, chissà se strega. Si chiama Matilde Milani e nel romanzo sembra tirarsele, poiché gliene capita una dopo l’altra nel giro di poche pagine: un’amica di lunga data le piomba in casa incinta non si sa di chi (fratello o amico gay di Matilde?), due tentate rapine, cagnone che le salva la vita, ritorno di fiamma di vecchio amore, pazienti dalle inclinazioni strambe (qualcuno, forse con potenzialità omicide), vicina di casa specialista in dolcetti, Rosemary baby-style. Il tutto sullo sfondo di una Roma esoterica che, a tratti, ricorda Il segno del comando di televisiva memoria.
E’ tutto? Nemmeno per idea: c’è anche l’eco di una lontana profezia di morte a gravare come una mannaia sull’attraente testolina di Matilde Milani (“Mamma Fini interrogò le carte: ‘Morirai a quarant’anni’”). Come si vede, la carne-narrativa sul fuoco è tanta (forse troppa, per un mistery-gotico soltanto) e tanta ancora se ne aggiungerà di lì al classico finale con colpo di scena. Un bene o un male?
Dipende da come inquadri la faccenda: come romanzo di intrattenimento “L’ultima erede del di Harcourt” funziona abbastanza, i topoi di genere non mancano, la scrittura è, per lo più, padroneggiata, i richiami storico-millenaristi di tendenza ma suggestionanti, Roma è umbratile al punto da sfrangiare le apparenze, e allora? Cos’è che mi ha lasciato perplesso di questo romanzo d’esordio di Simona De Santis? Ci arrivo subito: è l’estrema velocità con cui si passano la staffetta, uno dopo l’altro, i pretesti narrativi. Non c’è il tempo di tirare il fiato, il lettore meno aduso al filone è dunque costretto a una sospensione di incredulità alla lunga eccessiva. In altre parole: una maggiore dilatazione dei tempi del racconto avrebbe magari consentito una maggiore messa a fuoco delle psicologie, quanto un dosaggio più efficace della suspense. “L’ultima erede del castello di Harcourt” è però un’opera prima, e il tratto narrativo dell’autrice, se ulteriormente smaliziato, autorizza alla fiducia.
L'ultima erede del castello di Harcourt
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