I giornalisti e la prima guerra mondiale
- Autore: Gabriele Di Terlizzi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2015
È proprio vero che in guerra la prima vittima è la verità. Un libro piccolo che propone però un grande contenuto storico: è la tesi di laurea di uno studente, futuro giornalista. Prospettiva editrice ha ritenuto di pubblicarla nel 2015, col titolo “I giornalisti e la prima guerra mondiale”, un libricino di 88 pagine (euro 13,00), nella collana I Territori Storia Politica Sociologia. Hanno riconosciuto così l’oggettivo interesse di un tema niente affatto marginale tra i tanti legati alla Grande Guerra.
Intanto è il caso da fare qualche presentazione. Prospettiva è una casa editrice indipendente, nata a Siena nel 1999, il catalogo si avvia ai 300 titoli tra saggistica e narrativa.
Gabriele Di Terlizzi, milanese, dopo la laurea in Scienze Politiche nel 2011 ha proseguito gli studi nella facoltà di Informazione ed Editoria di Genova, avviando poi l’attività giornalistica in una tv di Milano. È free-lance per alcune testate turistiche di settore. Niente di particolarmente legato alla storia militare, la ricerca al centro della tesi verte infatti sul ruolo dei giornali dell’epoca nel contesto bellico, più che sulla guerra in sé. È comunque costantemente sostenuta e alimentata dalla passione dell’autore per il giornalismo e per la storia.
Mette in evidenza l’influenza delle grandi testate sull’opinione pubblica, quando i mezzi di comunicazione si esaurivano alla carta stampata. E questo favoriva la possibilità per l’Alto Comando di filtrare, censurare, orientare l’informazione sul conflitto e ancora di più le corrispondenze dal fronte, ad uso consumo e rappresentazione (edulcorata) della gente a casa. Questi sono del resto gli argomenti ai quali Di Terlizzi dedica due capitoli (Il Corriere al fronte e Il Corriere e il fronte interno) dei tre in cui è suddiviso il lavoro, che parte da un esame del giornalismo italiano nel suo complesso, durante la guerra 15-18, con una valutazione generale che prende in considerazione tutte le testate.
L’ultima parte si sposta sulla situazione politica del Paese, su quanto accadeva in Italia, dagli scandali che coinvolgevano personalità di spicco ai dibattiti parlamentari, compresi i contributi giornalistici di carattere propagandistico fatti circolare per mantenere alto e ben motivato il morale della popolazione civile.
Sia nel secondo che nel terzo capitolo, Il Corriere della Sera è allo stesso tempo il grande protagonista e il grande indagato.
“Viene rispettato un criterio cronologico per seguire i cambiamenti del quotidiano milanese, spesso caratterizzato da sentimenti differenti”.
Si guarda a quello che si scriveva e anche a quello che non si poteva scrivere o che veniva cancellato: si mettono in luce gli eventi non raccontati in quegli anni, per l’incessante operato della censura preventiva, teso altresì a mascherare le deficienze logistiche e tattiche dell’esercito italiano, i suoi insuccessi, le sconfitte subìte, non solo a Caporetto.
I testi dei corrispondenti di guerra, altisonanti, retorici e costretti letteralmente a mentire, raccontavano tutto tranne la realtà. Le autorità italiane, come in tutta Europa, misero un campo un impenetrabile apparato censorio, autentica negazione della libertà di informazione. Aveva sede a Udine, presso il Comando Supremo, e si definiva autoironicamente "Ufficio Stampa". Si rivelò uno degli organismi statali più efficienti del periodo bellico. Eventuali articoli non graditi, andati in stampa nonostante il filtro occhiuto, erano puniti con misure che variavano dal sequestro prefettizio alla sospensione della pubblicazione.
I giornalisti stessi si adeguarono imponendosi una sorta di autocensura, consapevoli che solo un certo tipo di messaggio poteva raggiungere gli italiani lontani dal fronte. Così Arnaldo Fraccaroli descriveva in modo quasi fiabesco la mobilitazione dei soldati al fronte:
“salutano sorridenti tutte le persone dei villaggi che attraversano sul treno che li porta alla guerra”.
Gli altri nomi, tutti grandi: Luigi Barzini, Guelfo Civinini, Otello Cavara, Olindo Bitetti, Ugo Ojetti e Giuseppe Antonio Borgese.
Subito divenne evidente lo sforzo di tutti i corrispondenti di fare accettare ai cittadini la scarsa informazione, come in occasione dell’allontanamento dei cronisti dal fronte dopo soli sei giorni dall’inizio delle ostilità.
“Vi sono molte cose da nascondere, al nemico”.
Grandi penne costrette al retorico, al pittoresco o poco più. Eppure Barzini era stato vero, teso, drammatico, nel raccontare l’orrore del Belgio travolto dall’avanzata tedesca. Ma quando si arrivò alla nostra entrata in guerra, le lente tradotte cariche di militari quantomeno impensieriti diventarono "giostre" di reclute felici. E cominciò un’altra giostra, quella delle vittorie contro l’Austria sonoramente gonfiate e delle sconfitte ridotte, se non del tutto ignorate. Alla via così, quattro anni di
“bugie, di analisi parziali, di cronache militari orientate alla propaganda civile”.
I giornalisti e la prima guerra mondiale
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