Grande tifoso, appassionato della “sua” squadra, la rosso-alabardata Triestina, Umberto Saba dedicò addirittura un intero ciclo di poesie al gioco del calcio. Inserite nella raccolta Parole (1933-1934) le Cinque poesie per il gioco del calcio sono ora contenute nella terza sezione del Canzoniere, l’autobiografia poetica di Saba.
Saba e le poesie sul calcio
Umberto Saba non era sempre stato un amante del calcio. Si recò alla sua prima partita in età avanzata, di malavoglia, per rimpiazzare un amico. Fu proprio Carlo Cerne a regalare al poeta un biglietto per la partita Triestina- Ambrosiana che si sarebbe tenuta quella domenica presso lo stadio della città. Lui quel giorno non poteva recarvisi e decise di cedere il proprio posto. Si racconta che Carletto donò i biglietti a Saba dietro espressa richiesta della figlia del poeta, Linuccia, che era incuriosita da quel passatempo domenicale ritenuto quasi sacro dai tifosi.
Nel libro Storia e cronistoria del Canzoniere il poeta confessa che all’epoca “tutto quell’entusiasmo e quelle disperazioni per un pallone entrato o no nella rete lo irritavano”.
Era il 15 ottobre del 1933. Più per accontentare l’amata figlia Linuccia, che per se stesso, Umberto Saba si recò alla partita, animato da un acceso amore patriottico nei confronti della sua città natale. L’incontro si concluse in parità con uno scialbo zero a zero; ma per Saba fu un colpo di fulmine. In campo quella soleggiata domenica del 1933 c’era anche un gigante, Giuseppe Meazza, che in quell’occasione incredibilmente fallì e sbagliò un rigore.
Le gesta di quegli uomini ricordarono al poeta le battaglie degli antichi gladiatori, trovò nel calcio un respiro epico. Scorse nello stadio una metafora della vita e nella gioia genuina dei tifosi un esempio di fratellanza e solidarietà umana. Lo sguardo di Saba trasfigurò così il gioco del calcio in una dimensione mitica: lui che non aveva mai scritto di sport iniziò a dedicare delle poesie al mondo del pallone, nel quale scorgeva un importante insegnamento di vita e percepiva una tensione pedagogica e morale.
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Nel ciclo di Cinque poesie per il gioco del calcio Umberto Saba ci restituisce un ritratto straordinario dello sport più amato dagli italiani, una narrazione avvincente in cui l’epica sportiva si fonde con la vita in una continua dinamica di vittorie e sconfitte, vinti e vincitori, grandi speranze e aspettative disattese. Quello raccontato da Saba non è solo calcio, ma un palcoscenico della vita umana che nella poesia sembra rivelarsi all’ennesima potenza in una grande spettacolarizzazione mettendo in evidenza l’emozione sincera e intensa che guida nel profondo ogni gesto umano.
La sezione dedicata al calcio ne Il Canzoniere inizia con la poesia Squadra paesana, che racconta quella prima indimenticabile partita e prosegue con Tre momenti, la narrazione del fantomatico pareggio; quindi Tredicesima partita, il racconto di una trasferta a Padova, e Fanciulli allo stadio dedicata ai giovani tifosi.
Tra tutte le poesie ve n’è una, in particolare, più memorabile di altre: si intitola Goal e chiude significativamente l’intero ciclo. A distanza di anni la poesia riesce ancora a tramandarci tutta l’immensità di un momento senza tempo, che sembra ripetersi ogni volta come in quel primo immortale istante. Ogni volta quel goal vincente sembra rinnovarsi mentre leggiamo: ecco che il pallone entra in porta, fende la rete, segnando l’agognata vittoria per gli uni e l’ineludibile sconfitta per gli altri. Saba dà parola ad entrambi, orchestrando la poesia con la sapienza di un grande regista cinematografico, e ci mostra tutti i sentimenti suscitati da uno sport che è, in fondo, molto simile al grande gioco della vita.
Scopriamo testo, parafrasi e analisi della poesia.
Goal di Umberto Saba: testo
Il portiere caduto alla difesa
ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non veder l’amara luce.
Il compagno in ginocchio che l’induce
con parole e con mano, a rilevarsi,
scopre pieni di lacrime i suoi occhi.La folla - unita ebrezza - per trabocchi
nel campo. Intorno al vincitore stanno,
al suo collo si gettano i fratelli.
Pochi momenti come questo belli,
a quanti l’odio consuma e l’amore,
è dato, sotto il cielo, di vedere.Presso la rete inviolata il portiere
- l’altro - è rimasto. Ma non la sua anima,
con la persona vi è rimasta sola.
La sua gioia si fa una capriola,
si fa baci che manda di lontano.
Della festa - egli dice - anch’io son parte.
Goal di Umberto Saba: parafrasi
Il portiere caduto nell’ultimo vano tentativo di difendere la porta dall’attacco dell’avversario nasconde la faccia a terra per non assistere alla dura sconfitta. Un compagno si piega in ginocchio e lo sollecita ad alzarsi con rincuoranti parole porgendogli la mano. Quando il portiere si rialza svela al compagno i suoi occhi pieni di lacrime rattristati dal fallimento.
Il pubblico intanto esulta trascinato dalla gioia condivisa e si riversa in campo. I calciatori si gettano al collo del vincitore, che ha segnato il goal, e lo abbracciano stringendolo come fratelli. Ben pochi momenti belli come questo istante sono dati da vedere agli uomini consumati dall’odio e dall’amore.
L’altro portiere è invece rimasto solo di fronte alla rete inviolata, ma la sua anima partecipa alla gioia unanime dei compagni. Fa capriole, ruota su se stesso, e manda baci da lontano. Con quei gesti sembra dire: “Della festa sono parte anch’io”.
Goal di Umberto Saba: analisi e commento
Goal è forse la poesia più cinematografica di Umberto Saba che mescola la solennità del linguaggio lirico a uno sguardo capace di cogliere il particolare spostandosi nell’ambiente con la precisione di una cinepresa.
Tre sestine di versi endecasillabi, una semplicità formale voluta e ricercata, un ritmo scandito da anafore e allitterazioni. Il poeta si serve di pochi ingredienti per mettere in scena la sua partita che si ripete sempre identica consegnandoci tuttavia uno spettro di emozioni infinito.
L’inizio è in medias res. Saba non racconta il momento prima del goal né l’epicità del tiro in rete, si limita a svelare il dopo quando il tempo dell’attesa spasmodica e dell’ansia è già terminato. Vediamo quindi il portiere che crolla a terra dopo aver tentato l’ultima vana difesa. La prospettiva non è quella del vincente, dell’eroe, ma quella dello sconfitto. Il primo sentimento non è la gioia, ma la rabbia di chi è costretto mangiare la polvere e chiudere gli occhi per l’amarezza. Lentamente lo sguardo di Saba si sposta mostrandoci la solidarietà del compagno che con sollecitudine tende la mano al portiere sconfitto, come a dire “dai non è successo nulla”, e consola le sue lacrime.
Nella seconda strofa la prospettiva si sposta sulla folla in giubilo che festeggia la squadra vincitrice. L’atmosfera dall’altra parte del campo è di pura gioia, tutte le persone sembrano essere unite in una felicità condivisa e diventare così un unico corpo come testimonia la massa dei giocatori che salta al collo del compagno travolgendolo in un grande abbraccio.
Nel raccontare il momento Saba si sposta dal particolare al generale facendo una considerazione esistenziale sulla vita degli uomini. Per un giorno, osserva il poeta, le menti degli uomini non sono consumate dal desiderio o dall’odio ma si abbandonano a una vitalità collettiva che sembra attraversarli senza sosta: la vita è come una corrente di pura gioia fine a se stessa. La partita descritta da Saba diventa quindi una sorta di “dì di festa” di leopardiana memoria che consente agli uomini di uscire dalle angherie e dalle offese della vita quotidiana. Un momento irripetibile che sembra sospendere ogni infelicità e affanno. Quella descritta da Saba è una gioia autentica, genuina, che sembra nutrirsi solo di se stessa e amplificarsi nella condivisione.
La terza e ultima strofa ci consegna infine lo sguardo dell’altro portiere, spostandosi sul lato opposto del campo. Anche lui sta solo di fronte alla porta ma è sopraffatto da un altro genere di emozione muta: non la rabbia, ma la felicità più totale e indicibile.
La sua gioia si materializza così in capriole e baci lanciati alla folla festante. Partecipa ai festeggiamenti, tuttavia a distanza, sembra circonfuso dalla solitudine intoccabile dell’eroe. Il discorso indiretto libero del vincitore chiude la lirica con una frase ad effetto: “Della festa sono parte anch’io”, che sembra registrare la presenza vitale e irripetibile dell’uomo come attore al centro della scena, protagonista irripetibile della propria vita. I versi si sono aperti con l’immagine di un uomo addolorato, sconfitto, con le lacrime agli occhi e si chiudono con la prospettiva trionfante di chi è attraversato da un lampo fulmineo di gioia: dalla morte alla vita, tutto si gioca a bordo campo, nell’indifferenza della folla in festa ottenebrata dall’esaltazione per il goal.
La poesia di Umberto Saba si conclude proprio su questa antitesi giocata tutta tra i due portieri - che rappresentano i due volti del dolore e della gioia, la vittoria e la sconfitta, le due facce di una stessa medaglia. Il sipario quindi lento si chiude su una scena di festa. La partita è terminata, tutto si è compiuto: lo stadio sembra ingigantirsi e comprendere ogni cosa, farsi metafora perfetta e implacabile della vita.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Goal,” una poesia di Umberto Saba dedicata alla passione per il calcio
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