La guerra italo-turca 1911-1912. Diario
- Autore: Giovanni Messe
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mursia
- Anno di pubblicazione: 2016
Da soldato semplice a Maresciallo d’Italia. Il figlio di un muratore pugliese che per i suoi meriti professionali militari diventò Capo di Stato Maggiore Generale del Regno del Sud, cobelliggerando con le potenze alleate, contro i tedeschi, tra il novembre 1943 e l’aprile 1945. La parabola di Giovanni Messe è piuttosto inconsueta nell’esercito che andava all’assalto gridando “Savoia!”. Per una volta, avvicina le carriere di comando delle nostre forze armate di allora a quelle degli eserciti europei. Il Messe che incontriamo nel libro “La guerra italo-turca 1911-1912. Diario” (prima edizione 2016, nelle collane storiche Mursia, pp. 118, euro 11,00), è un sottotenente capace, ardimentoso, giovane, sebbene più anziano degli accademisti di carriera, ufficialetti già da ventenni. Vi arrivò infatti dopo una gavetta di due anni da soldato e di sette da sottufficiale. Rispetto agli altri, però, sarebbe giunto fino al grado allora più alto dei vertici militari: Maresciallo d’Italia.
Una scalata autentica, solo per merito, dal momento che risultava estraneo a certe consorterie che favorivano ascese brillanti al di sopra delle qualità militari. Giovanni Messe dovette mettere in campo una gran forza di volontà, una grinta particolare e tante qualità, ricorda lo storico Nicola Labanca nell’introduzione. Si distinse sul campo in due guerre coloniali, in Cina nel primo ’900 e in Libia. Nella Grande Guerra guadagnò medaglie e promozioni, fino al grado di tenente colonnello. Mise a buon frutto anche l’incarico di aiutante di campo del re (dal 1923 al 1927) e le numerose guerre fasciste.
Era indubbiamente un trascinatore di uomini in campo e un meticoloso organizzatore in pace: un vero professionista. E non lo danneggiò un rapporto particolare col fascismo, mai rinnegato nemmeno dopo il 1945,
“quando si costruì un suo proprio ruolo nella discussione (se non nell’elaborazione) della politica militare della Repubblica”.
Il libro propone il breve diario del “tenente” Giovanni Messe, impegnato nell’impresa coloniale di Libia e nei combattimenti contro Turchi e Arabi. Sono carte raccolte dal figlio Gianfranco e versate dalla famiglia nell’Archivio Storico dello Stato Maggiore Esercito, insieme all’intero fondo archivistico.
Giovanni Messe nacque a Mesagne (Brindisi) il 10 dicembre 1883. Si arruolò volontario a diciotto anni, percorrendo tutti i gradi dell’esercito, da soldato semplice a Maresciallo d’Italia, collocato nella Riserva nel marzo 1947. Poi fu parlamentare per tre legislature e autore di due libri sulle principali campagne militari in cui aveva rivestito ruoli di comando, sul fronte russo e in Tunisia. È morto a Roma il 18 dicembre 1968.
Nel diario della guerra in Libia (per vezzo si indica come “tenente”, ma la concluse da sottotenente, la promozione arriverà più avanti) rivela acutezza e sincerità di giudizio, che nella parte dedicata alla strategia italiana, alle truppe e ai combattimenti affrontati, si coniugano con la sua totale e militaresca sottomissione ai comandanti. È l’anticipo di alcuni tratti del carattere di cui darà dimostrazione negli anni del regime e della seconda guerra mondiale, in cui fu generale del re, di Mussolini e successivamente capo militare del Regno del Sud. Quello stesso carattere che dopo la guerra lo indusse a tentare insistentemente di convincere i combattenti italiani che non fosse per loro necessario fare i conti col ventennale passato fascista, perché avevano fatto “il loro dovere”. Avevano solo ubbidito e per questo non se ne doveva discutere più, sebbene l’Italia fosse diventata una democrazia, rinnegando il regime totalitario che l’aveva trascinata in un conflitto, gettata nella guerra civile e devastato il Paese.
C’è qualcuno, tuttavia, nei confronti del quale non è mai stato tenero ed è Badoglio. Contestava al vecchio Capo di Stato Maggiore Generale del ventennio (tra i responsabili delle rotta di Caporetto nel 1917) la colpa di non avere preparato l’esercito alla guerra. A Mussolini attribuiva, peraltro, la responsabilità di avere trascinato l’Italia nel vuoto, nella guerra, con le aggravanti di obiettivi non definiti e di una totale mancanza di mezzi.
Ad eccezione di una ristrettissima cerchia, Esercito e italiani non dovevano però discolparsi. Le Forze Armate non erano state fascistizzate, avevano solo costituito il braccio armato del governo del tempo.
Tornando alla campagna di Libia, il sottotenente si distinse al comando del suo reparto dell’84° fanteria nei fatti d’arme di Sidi Messri e Zanzur, ottenendo una croce di guerra al valor militare. Venne rimpatriato per malattia nel settembre 1912 e solo allora promosso tenente.
Non si conosceva questo giovane Giovanni Messe, osserva Labanca. Anche la più ampia delle monografie dedicate alla vita del generale aveva solo accennato all’esperienza libica, senza menzionare il diario.
“Ovviamente, sarebbe scorretto leggere questo documento come se dal giovane sottotenente scaturisse necessariamente il Maresciallo d’Italia. Per un altro verso, è però impossibile leggerlo senza pensare alla carriera successiva dell’ufficiale. Una carriera che, per quanto fuori dall’ordinario, dice molto del rapporto fra militari e regime fascista, e più in generale fra professionisti delle armi e della politica nella storia d’Italia”.
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