La poesia di Nazim Hikmet è un canto malinconico che riesce a esprimere l’infinito. Oggi lo ricordiamo con uno dei suoi componimenti più noti in lingua italiana: Il più bello dei mari.
Il grande autore turco era solito definire le sue opere un “colloquio con l’uomo”, un’espressione che rappresentava pienamente la viva partecipazione dei suoi versi a tutto ciò che accadeva nel mondo.
La maggior parte dei componimenti di Hikmet furono scritti nel buio della cella, oppure nel languore dell’esilio. La sua è una poesia di lontananza che sembra sgorgare sangue, come una ferita, eppure non parla mai di dolore, ma di amore, umanità e speranza.
In patria Hikmet, in seguito alla diffusione di alcuni suoi romanzi e drammi teatrali invisi dal regime, fu condannato a ventotto anni di carcere. La prigione sarà di ispirazione per le sue liriche più belle: parole di coraggio, di libertà, di resilienza capaci di spezzare le sbarre dell’angoscia.
Le sue poesie, tradotte in tutto il mondo, furono censurate in Turchia fino agli anni settanta del novecento.
Il titolo originale turco di Il più bello dei mari è En güzel deniz e si esprime in una serie di suoni gutturali straordinariamente evocativi che possiedono una melodia molto particolare, tanto da poter essere cantati come una litania nostalgica.
Scopriamo testo, analisi e commento della poesia.
Il più bello dei mari di Nazim Hikmet: testo
Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.
Il più bello dei mari di Nazim Hikmet: analisi
Questo breve componimento, strutturato in appena nove versi e in un’unica strofa, è una delle poesie più citate di Nazim Hikmet in lingua italiana forse proprio in virtù della sua brevità; ma in realtà non solo per questo.
Il più bello dei mari è uno di quei rari esempi di “poesia perfetta” che con termini semplici, accessibili a chiunque e particolarmente evocativi riesce a esprimere tutto, il senso stesso dell’esistenza.
È una poesia in versi liberi, che non rispetta alcuno schema metrico ed è completamente priva di rime. Eppure, a ben vedere, non è del tutto priva di una struttura: Hikmet si serve dell’anafora insistita “il più bello”, l’allitterazione dei suoni scandisce il ritmo e infine tramite l’uso dell’enjambement finale il poeta distacca gli ultimi due versi, isolando così la sua morale.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.
L’enjambement ci proietta significativamente all’interno del vero significato della poesia. Negli ultimi versi si verifica il passaggio impercettibile dalla prima persona plurale alla prima persona singolare.
Nella conclusione è proprio l’Io lirico a prendere parola e sembra rivolgersi direttamente alla persona amata.
L’ultima frase è quasi un sussurro - forse ravvicinato, detto all’orecchio - e racchiude l’inaudito: una promessa di futuro che brilla come un diamante prezioso nascosto in fondo al cuore.
Il più bello dei mari di Nazim Hikmet: commento
Il più bello dei mari è una poesia che dilata il senso dell’aspettativa. Racchiude in sé tutte le epoche, passato, presente e futuro, ma ci parla di un tempo indefinito: di qualcosa che probabilmente avverrà ma che ancora non è avvenuto, come se fosse coniugato al futuro anteriore. Parla di un insieme di probabilità affastellate l’una dopo l’altra e proprio in questo accumulo è contenuta la sua bellezza.
Hikmet esprime tutta la fame, l’insaziabilità del vivere, quel sentimento impalpabile che ci porta costantemente a credere che “il meglio deve ancora venire.” In pochi versi il poeta esprime un invito al sogno, alla vita, all’amore che vengono proposti al lettore sotto forma di ipotesi, di possibilità.
In una poesia, scritta probabilmente in un periodo di disperazione e solitudine, l’autore turco è riuscito a condensare l’essenza della speranza. Le sue parole sono fragili come bolle di sapone e, al contempo, forti e tenaci come la vita, perché ci raccontano tutto quello che è un uomo.
Il “mare” evocato da Hikmet è in realtà un paesaggio metaforico. Quel primo indimenticabile verso “Il più bello dei mari è quello che non navigammo” esprime l’esistenza nel suo costante divenire: un futuro sempre sul punto di farsi, composto da sogni, ideali, speranze e un anelito costantemente insoddisfatto d’amore e desiderio.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Il più bello dei mari” di Nazim Hikmet: testo e analisi della poesia
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