Il 18 luglio si celebra il Nelson Mandela Day, la giornata indetta dalle Nazioni Unite in onore del primo presidente di colore che liberò il Sudafrica dall’apartheid. La data non è casuale, il 18 luglio 1918 nel villaggio di Mvezo nasceva Nelson Mandela detto affettuosamente “Madiba”, l’uomo che avrebbe sconfitto per sempre il segregazionismo razziale.
Per l’occasione lo ricordiamo con una poesia a lui molto cara dal titolo Invictus, scritta nell’Ottocento dal poeta inglese William Ernest Henley, che accompagnò Mandela durante i lunghi anni della prigionia invitandolo a non perdere la speranza.
La poesia amata da Nelson Mandela
Invictus, il cui titolo può essere tradotto come “mai sconfitto”, fu scritta dal poeta e giornalista britannico William Henley nel 1875 mentre si trovava ricoverato in ospedale. Henley era stato colpito in gioventù da una grave forma di tubercolosi e perché sopravvivesse era stato necessario ricorrere all’amputazione della gamba sinistra. La malattia avrebbe continuato a minare il suo fragile fisico per il resto dei suoi giorni, ma Henley dimostrò una forza d’animo prodigiosa. Studiò, si diplomò e lavorò come giornalista ed editore. Lo descrivono come un uomo corpulento che era solito camminare con una stampella e aveva una risata sonora e musicale.
Henley fece della resilienza poesia: aveva scoperto quella forza dentro di sé nel corso di una lunga notte in ospedale che pareva non finire mai e ora la consegnava a un altro uomo, che decenni più tardi, avrebbe vissuto un’altra interminabile notte tra le mura di una prigione. Nelson Mandela e William Ernest Henley furono legati dal filo conduttore delle parole che travalicano i tempi e le epoche trasferendo messaggi che non perdono mai il loro significato. Quella poesia fu come un messaggio in bottiglia trasferito da una riva all’altra del mare che giunse a distanza di tempo, quasi sull’emisfero di un altro mondo.
Nelson Mandela attraverso Invictus di William Ernest Henley scoprì se stesso e una forza che neppure immaginava di avere e invece era racchiusa nel profondo del suo animo e gli avrebbe permesso di fare grandi cose.
Scopriamo testo, analisi e commento della poesia.
Invictus di William Ernest Henley: testo
Dal profondo della notte che mi avvolge,
Nera come un pozzo da un estremo all’altro,
Ringrazio qualunque dio ci sia
Per la mia anima invincibile.Nella stretta morsa delle avversità
Non mi sono tirato indietro né ho gridato.
Sotto i colpi avversi della sorte
Il mio capo sanguina, ma non si china.Oltre questo luogo di rabbia e lacrime
Incombe solo l’orrore della fine.
Eppure la minaccia degli anni
Mi trova, e mi troverà, impavido.Non importa quanto stretta sia la porta,
Quanto impietoso sia lo scorrere della vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.
Invictus di William Ernest Henley: analisi e commento
Invictus inizia come una preghiera pronunciata nel cuore della notte. Nel buio profondo che lo avvolge, nella sofferenza di un dolore fisico che immaginiamo intenso e frustrante, Henley riconosce l’esistenza della sua anima. E illuminato dall’immensità di questa scoperta inattesa rende grazie a Dio, se esiste un dio nell’universo.
Nelle strofe successive il poeta analizza tutte le difficoltà affrontate nel corso della malattia, quando il suo capo sanguinava sotto i colpi avversi della sorte (qui si può cogliere un rimando biblico alla passione di Cristo, Ndr) . Henley evoca la frustrante battaglia contro la malattia, mentre Mandela leggendo deve avervi riconosciuto la propria lotta personale di uomo contro le sfide del proprio tempo.
In entrambi i casi il messaggio si rivela unanime: non importa quanti ostacoli e sofferenze opporrà la vita, l’importante è non arrendersi e non piegarsi alle avversità della sorte.
L’ultima strofa rappresenta un inno alla resilienza e all’autodeterminazione personale. I versi finali sembrano rimandare direttamente a Canto di me stesso di Walt Whitman, vi è contenuta la stessa esortazione.
Quegli ultimi due versi furono di conforto a Nelson Mandela nel buio del carcere, vi meditò a lungo e infine li avrebbe fatti propri:
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.
Furono queste le parole che ispirarono Madiba e gli ricordarono che c’era una forza di cui nessuno avrebbe potuto privarlo neppure nel fondo di una prigione: la sua anima indomabile. A volte la poesia sola ci ricorda che abbiamo un’anima, e che quell’anima è il simbolo stesso della nostra libertà: siamo “non vinti”, nonostante la vita sappia piegarci a volte.
Invictus, quella poesia scritta da un uomo lontano secoli, divenne l’inno alla vita di Nelson Mandela che seppe leggervi il simbolo dell’invincibilità umana. In quella cella di Robben Island, in cui sarebbe stato rinchiuso per ventisette anni, Madiba ebbe un compagno di reclusione speciale, William Ernest Henley. Lo avrebbe trovato tra le righe delle pagine e in quelle parole si sarebbe riconosciuto, scoprendo che in fondo sembravano essere state scritte apposta per lui.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Invictus”: la poesia di William Ernest Henley amata da Nelson Mandela
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