#lamoreaccade
- Autore: Dodo Corfù
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2018
La prima prova letteraria di Dodo Corfù, giovane ingegnere minerario che vive all’estero tra l’Africa e il Medio Oriente, ha un titolo moderno per un sentimento che non ha tempo: #lamoreaccade (Marsilio Editori).
La storia, che ha come protagonista la cinquantenne Lidia Monteforte, introversa al limite della misantropia, alterna situazioni abbastanza plausibili, in termini realistici, ad altre più paradossali e spassose, per deviare, nel finale nelle atmosfere lievi della fiaba.
Arricchita da meditazioni sulla vita – reale e virtuale –, la trama presenta uno stile narrativo ironico, penetrante, originale e, nello stesso tempo, di grande attualità.
In un microcosmo dove anche i personaggi secondari brillano di luce propria, avviene l’inaspettato incontro di due solitudini. Fra le pagine più belle, ci sono sicuramente quelle dedicate all’amore, dove il linguaggio assume i tratti di disarmante e tenera poesia.
Lidia vive da sola nella casa dove è nata e vissuta, dorme ancora nella cameretta da ragazza, in un lettino a una piazza con lo stesso copriletto di piquet d’estate e di lana lavorata all’uncinetto d’inverno.
Una casa grande per lei, ma del resto non ha bisogno di soldi: ha ereditato da tutti, padre, madre, nonni e pure due prozie morte senza figli. Di quell’albero nudo che è la sua famiglia, lei è l’ultimo ramo secco: anche lei è secca e invisibile e, una volta morta, nessuno si accorgerà della sua mancanza.
Lidia non ha studiato molto: la scusa sono stati i suoi occhi deboli, ma in realtà non le piaceva frequentare le magistrali, la pedagogia l’annoiava a morte:
Finite le medie suo padre, dopo tre mesi di esplorazioni indagini investigazioni trivellazioni in cerca di un qualsiasi talento che magari se ne stava nascosto in qualche remoto lacerto di carne o scheletro di quella unica figlia, come un delinquente evaso da un carcere di massima sicurezza, l’aveva infine iscritta alla classe prima delle magistrali, ma aspettando proprio l’ultimo giorno possibile. Fino all’ultimo aveva sperato che per miracolo la sua Lidia si svegliasse reincarnata per il liceo classico. Ma il miracolo non c’era stato. […] Alla fine del secondo anno, quando ormai per la disperazione e lo stress beveva più camomilla che acqua, Lidia si era pure ritirata.
Senza dare segni di vita che non siano respirare, mangiare, camminare, dormire e andare al bagno, esonerata da ogni compito domestico e scolastico, si dedica alla sola attività che le riesce bene: scrivere poesie.
Che poi sono più sfoghi, giusto per non perdere l’abitudine alla scrittura, dimenticandosi persino delle lettere, delle regole ortografiche e della punteggiatura. Hanno vita breve, quegli scritti, per evitare che il padre, già preoccupato per un suo presunto esaurimento nervoso, le potesse leggere:
Da sempre Lidia dava fuoco alle sue poesie, uccidendole appena nate, quando ancora avevano addosso la placenta dell’ispirazione. […] Le uccideva col fuoco indistintamente tutte. Accendeva il fiammifero, si godeva la fiammella della carta morire senza spasimo e dopo qualche secondo non restava più nulla delle sue creature, se non un cucchiaio scarso di cenere, dentro il lavandino della cucina.
Ma la furia omicida di questa donna, solo apparentemente pacata e indolente, è stata rivolta proprio verso il padre, morto però per cause naturali:
Uccidere suo padre, progettarne con cura il parricidio, era stato dapprima solo un adolescenziale atto di ribellione, nel tempo un magnifico esercizio di fantasia, infine un virtuosismo. Su tutte le modalità possibili dell’assassinio era stata vincente la forbice: ucciderlo a forbiciate. Doveva solo fare attenzione al divano grande del salotto che, di colore rosso, non avrebbe esaltato il colore del sangue, da sempre il suo colore preferito.
Eppure, non è asociale Lidia, solamente ha trasformato certi gesti in abitudini cui non può rinunciare, proprio come la sua miopia e il suo astigmatismo, che le danno una vista “alleggerita più che sfuocata”, così da farle apparire il mondo perfetto.
A lei basta affacciarsi al balcone e dare uno sguardo in strada per capire quale stagione, mese, giorno della settimana o ora sia, e per vedere l’andirivieni degli affittuari degli appartamenti vicini.
Dopo l’ennesimo trasloco nel palazzo di fronte al suo, e dieci giorni di appostamenti incessanti, Lidia ha infine visto chi si è trasferito nel monovano del secondo piano – un viso alla Heathcliff, il tenebroso personaggio di Cime tempestose, un romanzo che ha letto tre volte, a distanza di dieci anni:
Era bellissimo dietro la persiana aperta, lo vide fino al bacino e il forestiero la guardava, si guardavano. […] Intenzionale che un bell’uomo, distinto, affascinante, suo coetaneo se non più giovane, con una folta capigliatura e la barba scura, la fissasse così intensamente?.
Lascio al lettore scoprire, con una certa meraviglia e una punta di sconcerto, quale fosse la vera natura di questo amore, nato senza che i due conoscessero i rispettivi nomi, quanti anni avessero o che si fossero visti da vicino.
Certo è che a una certa distanza, Lidia può anche sembrare carina: ha bei lineamenti, carnagione chiara, un naso ben fatto e capelli biondi – almeno fino a trent’anni. Ora i suoi capelli sono bianchi e secchi, ma a questo si può rimediare, così come si può rimediare alla miopia.
La metamorfosi che intende attuare prevede dunque una visita dall’oculista di famiglia e una seduta dalla parrucchiera del quartiere:
La vecchia titolare non c’era ma una ragazzona in carne e minigonna che fumava con la sinistra e fonava con la destra, la salutò con entusiasmo come se la conoscesse da lunga data. […] Da quando la titolare aveva venduto a lei sala e clienti, Gennifer aveva rinnovato l’arredamento, cambiato i pavimenti, rifatto l’impianto elettrico con faretti e filodiffusione h24, ed era ingrassata una trentina di chili.
Gennifer è una hairstylist diplomata e se qualcuno la chiama parrucchiera si offende, come uno chef se lo chiamano cuoco: parrucchiera è chi lavora a casa in nero, usando ancora lacca e bigodini. Lei invece ha studiato psicologia del capello – che ha un’anima, una sensibilità, un carattere e s’incazza, non va stressato, va coccolato, capito, interpretato…
Archiviato, non senza dolore, l’amore per Heathcliff, e in attesa di una sua reincarnazione, Lidia scopre, grazie a Gennifer e a sua figlia Taylor Chantal – quattro anni e mezzo e una passione per Facebook – le potenzialità del cellulare che “faceva miracoli, sostituiva il prete, lo psicologo, l’ambulatorio medico, l’agenzia viaggi e quella matrimoniale, i vicini di casa e il comitato di quartiere”.
Dopo le prime connessioni, anche Lidia impara quell’inglese “sociale” che le serve per navigare e tentare la scalata dei social e non le ci vuole molto per capire che:
Il successo della persona non passava più dalla realtà, dalla fatica e neanche dal merito, ma dalle balle che ognuno, con fantasia e maniacalità, poteva raccontare sui post del suo profilo, in una privacy aperta al mondo intero...
Per testare l’effetto che avrebbe su di lei un eventuale, drastico e improvviso cambio di look, Lidia partorisce un’idea geniale: mettere in atto una simulazione nell’appartamento di sua proprietà al primo piano. Ma, fallito anche questo tentativo, ecco l’incontro decisivo con Paolino Garufi, un collega del padre, supplente a vita, con una brutta malattia agli occhi e fisico lontano dal suo ideale:
Nemmeno dei magnifici occhi azzurri riuscivano ad animare il suo viso, grassoccio e banale, le guance, larghe e cascanti, l’espressione senza sale.
Paolino è un gentiluomo, delicato e mite, ma è così solo, senza amici, che il suo telefono fisso (non possiede il cellulare a causa dei gravi problemi di vista) squilla raramente, e solo perché qualcuno ha sbagliato numero.
E mentre per l’uomo amore vero è sempre stato, dal primo momento che l’ha vista diversi anni prima, Lidia, frenata dal timore, ci mette del tempo per comprendere la vera natura del suo sentimento.
Le vicissitudini che hanno come protagonisti Lidia, Gennifer, Taylor Chantal e Paolino sono innumerevoli, ma, come in tutte le fiabe che si rispettino, il lieto fine è dietro l’angolo: una strana famiglia allargata, messa insieme dal caso, dalle circostanze:
A giudicare da come erano felici, il caso operava assai meglio di ogni concertazione di logica, di ogni progettazione di volontà.
Perché, è vero: a volte, l’amore accade, accade.
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