Giacomo Leopardi moriva a Napoli il 14 giugno 1837, pochi giorni prima del suo trentanovesimo compleanno.
Sulla morte improvvisa e prematura del grande poeta italiano, a 185 anni di distanza, aleggia ancora un’ombra impalpabile di mistero. Nel tempo medici, studiosi e dottorandi si sono arrovellati nel tentativo di comprendere quale misteriosa malattia affliggesse il Conte di Recanati, trasformando così una morte per cause naturali in una sorta di thriller letterario ancora insoluto.
Sono state avanzate numerose ipotesi nel corso degli anni, alcune plausibili e altre piuttosto fantasiose. Probabilmente la causa della morte del poeta fu un edema polmonare, oppure uno scompenso cardiaco. La recente scoperta di un medico di Monza, il dottor Erik Sganzerla, rivela che Leopardi era affetto da una rara malattia genetica denominata Spondilite Anchilosante che ne compromise la colonna vertebrale minando progressivamente la sua salute.
Il referto ufficiale della morte, diffuso dal fidato amico Antonio Ranieri nel 1837, invece parlava di idropisia di cuore o idropericardio: una tesi verosimile, dati i problemi respiratori di cui Leopardi soffriva da tutta la vita.
La testimonianza più accurata delle ultime ore di Giacomo Leopardi ci è stata fornita, del resto, dallo stesso Ranieri che nel libro di memorie Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi (SE, Milano, 2016) raccontò con un tono tra il tragico e il comico - e a tratti alquanto irriverente - gli anni della sua convivenza con il “magnifico poeta”.
Ricostruiamo dunque più nel dettaglio le ultime ore della vita di Giacomo Leopardi servendoci delle parole dell’amico Antonio Ranieri. Si apre così un’inchiesta letteraria che, lo ricordiamo, non è ancora conclusa.
Le ultime ore di Giacomo Leopardi
Link affiliato
Pare che quel fatidico 14 giugno Leopardi fosse stato colto da un malore improvviso, mentre saliva in carrozza pronto per una gita. Era diretto alla Villa Carafa d’Andria Ferrigni. Pregustava già "future veglie campestri", nelle parole di Ranieri, ma non giunse mai a destinazione.
Prima di raccontare le ultime drammatiche ore dell’amico, Ranieri indugia - forse con cattivo gusto - sul lauto pranzo consumato da Leopardi alle cinque del pomeriggio. Secondo la testimonianza, il poeta si ingozzò di confetti cannellini comprati da Paolina Ranieri per festeggiare l’onomastico di Antonio, in seguito trangugiò una minestra calda e bevve una granita ghiacciata. Stando a questa ricostruzione molti studiosi ipotizzarono che il malore di Leopardi fosse dovuto a una congestione, poi aggravata dai problemi respiratori e cardiaci di cui da tempo soffriva.
Antonio Ranieri conclude la sua commemorazione del poeta con toni più accorati, affermando che Leopardi si spense “sorridendo tra le braccia del suo più caro amico che lo pianse senza fine”.
Stando alla testimonianza, le ultime parole pronunciate dal poeta di Recanati furono:
Addio, Totonno, non veggo più luce.
Il libro di Ranieri fu sempre svilito e criticato da studiosi e accademici, che biasimarono i toni con cui l’autore denigrava il grande poeta descrivendolo sin troppo umanamente come un goloso che si ingozzava di gelati. Nelle memorie di Ranieri in effetti l’aspetto amicale della loro unione venne lasciato in secondo piano, per mettere in rilievo le caratteristiche più bizzarre della personalità di Giacomo Leopardi, descritto come un ipocondriaco, ingordo, malato immaginario che tiranneggiava il fedele Antonio e la sorella Paolina.
Molti affermano che la narrazione di Antonio Ranieri su Leopardi sia stata in parte inficiata dalle dispute testamentarie. Alla morte del Conte di Recanati, l’amico fidato ne fece un ritratto angelico nelle lettere inviate al padre Monaldo, salvo poi - in assenza di un’eredità riconosciuta - sbizzarrirsi nella descrizione dei più intimi e terreni dettagli della vita del poeta.
Il Leopardi che emerge dalle parole di Antonio Ranieri è dunque quanto di più distante possa esistere dagli stereotipi del letterato romantico e pensoso.
Permangono ancora dei dubbi leciti sull’attendibilità della testimonianza contenuta nel libello Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi che più che descrivere un’unione amicale o un’affinità d’anime raccontano una convivenza infernale. Antonio Ranieri fu spesso tacciato di essere un vecchio pazzo e di aver amministrato, come un mercante arabo, le opere di Leopardi mercanteggiando con gli editori sino alla fine dei suoi giorni.
Tuttavia un merito alla buona fede del Ranieri deve essere riconosciuto: l’aver dato a Giacomo Leopardi una degna sepoltura.
Giacomo Leopardi e il colera
Quando Leopardi morì, quel 14 giugno 1837, nella città di Napoli imperversava un’epidemia di colera. Prima dell’improvvisa morte dell’amico, Antonio Ranieri stava infatti organizzando un trasferimento a Torre del Greco per fuggire dal focolaio di contagio.
Secondo alcune ipotesi fu proprio il colera la causa della morte di Giacomo Leopardi. Questa teoria fu fortemente smentita dallo stesso Ranieri che si batté con tutte le proprie forze per garantire a Leopardi una sepoltura dignitosa, che in caso di morte per colera, non avrebbe mai avuto.
Stando alla ricostruzione dello studioso Angelo Acampora, Leopardi in realtà morì a Castellamare di Stabia dove si era recato per fare delle cure termali. Secondo Acampora Giacomo Leopardi si spense a Castellammare, durante un viaggio in carrozza, forse di ritorno da una delle sue visite alle terme. Tuttavia, per evitare che il poeta venisse sepolto in una fossa comune, Antonio Ranieri lo riportò a Napoli, nella casa di vico Pero 2, quartiere Stella, dove fu dichiarato morto con il referto ufficiale di “idropisia”.
Raccontano alcuni che per ottenere quel certificato Ranieri dovette litigare con il medico, il dottor Monella, e tra i due volarono “parole grosse”.
Il mistero della sepoltura di Giacomo Leopardi
Più fitto ancora del mistero della morte di Giacomo Leopardi è tuttavia quello della sua sepoltura.
La maggior parte dei biografi è concorde nell’affermare che le spoglie del poeta non furono gettate in una fossa comune, come le norme igieniche richiedevano a causa dell’epidemia di colera, ma inumate in una cripta. Ranieri stesso volle anche organizzare un piccolo funerale presso la chiesa di San Vitale Martire, oggi nota come Chiesa del Buon Pastore a Fuorigrotta.
Sulla lapide del “magnifico poeta” fu fatta incidere un’iscrizione eloquente scritta da Pietro Giordani:
Al conte Giacomo Leopardi recanatese filologo ammirato fuori d’Italia scrittore di filosofia e di poesie altissimo da paragonare solamente coi greci che finì di XXXIX anni la vita per continue malattie miserissima fece Antonio Ranieri per sette anni fino all’estrema ora congiunto all’amico adorato.
Il 21 luglio 1900, alla presenza dei rappresentanti del comune di Napoli, venne effettuata la ricognizione ufficiale delle spoglie del poeta di Recanati e nella cassa, rivelatasi troppo piccola per contenere lo scheletro di un uomo, vennero rinvenuti soltanto alcuni frammenti d’ossa e fu riscontrata la totale assenza di un teschio. Ranieri, dunque, aveva mentito e quella data a Leopardi fu in realtà una falsa sepoltura: era stato inscenato un funerale a bara vuota.
Si gridò allo scandalo. Secondo i critici meno malevoli il poeta morì effettivamente di colera e il fidato amico non poté rendergli onore in nessun altro modo se non occultandone le prove.
La posizione ufficiale della famiglia Leopardi, resa nota nel 1898, è che i resti situati nel parco Vergiliano non appartengano al poeta e che Antonio Ranieri abbia mentito facendo invece seppellire il poeta nella fossa comune alle Fontanelle.
Il mistero della sepoltura di Giacomo Leopardi tuttora rimane insoluto, nessuno sa dove si trovino le vere spoglie del poeta di Recanati. I dissapori per l’eredità tra la nobile famiglia Leopardi e lo squattrinato Antonio Ranieri si protrassero sino alla morte di quest’ultimo.
L’eredità di Giacomo Leopardi
Il poeta, colto da una morte improvvisa, non scrisse alcun testamento; fu Ranieri stesso ad appropriarsi di molti degli scritti dell’amico, tra cui lo Zibaldone, favorito dal quasi totale disinteresse del Conte Monaldo che non ancora non aveva compreso il valore dell’opera del figlio. I due combatterono la loro guerra personale scrivendo tomi biografici in cui narravano versioni in aperto contrasto sulla figura del “magnifico poeta”. Pare fosse stato proprio un volume scritto dallo stesso Monaldo a far indignare Ranieri a tal punto da spingerlo scrivere quel libro un poco irriverente che è il Sodalizio.
Ci si augura che Giacomo Leopardi, nonostante le svariate dispute e discussioni che ancora si protraggono a quasi due secoli dalla sua morte, possa finalmente riposare in pace dovunque sia.
I lettori delle pagine del grande poeta del resto sanno esattamente dove trovarlo: c’è un luogo dove la memoria di Leopardi riposa per sempre, elevandosi sopra le traversie terrene con la forza di uno spirito immenso, ed è il colle “sempre caro” dell’Infinito a Recanati. Lì è custodita l’essenza più pura del Poeta - che non ha pari nella lingua italiana - e in tutte le parole che ha consegnato ai posteri, tra lo struggente lirismo della poesia e l’illuminante nitidezza della prosa, mostrando ciò che per esperienza conosceva come “l’arido vero”.
leggi anche
Le poesie più belle di Leopardi
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il mistero della morte di Giacomo Leopardi nel racconto di Antonio Ranieri
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo News Libri Storia della letteratura Giacomo Leopardi
Lascia il tuo commento