L’odore dei ragazzi affamati di Loo Hui Phang e Frederik Peeters

Texas, ai tempi degli indiani e i cowboy. La guerra di secessione è finita da poco. Il contesto sarebbe quasi classico ma non c’è traccia di epicità in questo western crepuscolare scritto da Loo Hui Phang e illustrato da Frederik Peeters da poco anche in Italia per Bao Publishing. Si intitola “L’odore dei ragazzi affamati” e racconta un’impresa senza troppo futuro.

A compierla (o quanto meno a provarci) ci sono un sedicente geologo, un damerino poco avvezzo alle pistole e un pischello dai tratti androgini. Quasi un’antitesi antieroica alla triade buona-brutta-e-cattiva del film leoniano. Il primo non la dice tutta sui suoi scopi, il secondo fa il fotografo e ha un nome che (non a caso) omaggia Oscar Wilde, il terzo a dispetto della giovane età, nasconde un mistero, diverse sorprese e poteri che forse non sono di questo mondo. Sul confine periglioso dei Comanches e sulle tracce dello scombinato terzetto, c’è anche un bounty killer dalla faccia da morto: un rimando allo sfocio metafisico che incombe sulla storia sin dalla sua metà. Quanto all’odore e alla fame evocati dal titolo, sono dettati dalla legge del desiderio. Un desiderio poderoso, proibito, sessuale, immorale e persino forse immortale che detta le azioni, il passato e il presente del fotografo-damerino (si chiama Oscar Forrest) e, a ben guardare, il senso paradigmatico del plot.

“Il desiderio e i sentimenti sono irreprimibili. Viviamo di questo. Siamo nati per questo. E non c’è niente di più bello dell’odore dei ragazzi affamati”.

Nello sconfinato deserto di rocce e polvere rossa, parole che suonano come un manifesto spirituale per un western borderline, che non si dimentica. Canonico e contro-tendente, magico e doloroso, omaggio e trascesa al contempo dei topoi del genere. Agevolato dal grande formato e da una alternarsi cinematografico di inquadrature, “L’odore dei ragazzi affamati” esce in Italia nell’incisiva traduzione dal francese di Maria Teresa Segat.