Un parà in Congo e Yemen 1965-1969
- Autore: Robert Muller e I.E. Ferrario
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mursia
- Anno di pubblicazione: 2016
Si chiama Robert Muller, di padre tedesco ma italianissimo. È autore, insieme allo scrittore e saggista milanese Ippolito Edmondo Ferrario, di un diario di indubbio interesse, per la "verginità" dell’argomento storico. Il libro è stato pubblicato da Mursia nel novembre 2016, col titolo “Un parà in Congo e Yemen 1965-1969”, (pp. 206, euro 17,00) con frequenti inserti fotografici.
La curiosità del libro (l’interesse di cui si parlava) sta nella parentesi storica in cui si viene condotti dal racconto della vita movimentata di Muller. Vicende che nel loro corso trovarono spazio sui media dell’epoca e vennero accolte con raccapriccio, soprattutto le violenze nel Congo, una cinquantina di anni fa, ma che difficilmente i più potranno dire di conoscere o anche di avere sentito citare.
Robert Muller è stato tra gli europei che andarono a combattere in Congo, per la precisione in Katanga, regione secessionista dopo la concessione dell’indipendenza dal Belgio e la guerra civile che ne seguì. L’autonomia statale andò a rinfocolare i disordini alimentati dai conflitti etnici latenti tra le tribù e le fazioni politiche, strumentalizzati da Paesi esteri e da grandi cartelli societari internazionali, intenzionati a sfruttare le enormi ricchezze in materie prime del sottosuolo e del territorio centroafricano.
Perfino l’ONU si schierò contro il leader della secessione del Katanga, Moisè Ciombe, che bandì un arruolamento di tutti i volontari europei disposti ad addestrare le sue truppe ed eventualmente anche a combattere. Erano chiamati les affreux, i terribili, dei mercenari, gente di tutte le risme soprattutto le peggiori.
Robert Muller era stato attratto fin dall’inizio dalle cronache dall’ex Congo belga. Il papà era un soldato tedesco (anti hitleriano, ma nazionalista fino al midollo, uno strano connubio), rimasto in Italia dopo la guerra. Lui, nato da madre italiana nel 1942, era cresciuto nel quartiere di Porta Ticinese a Milano. Alla morte del padre, nel 1956, era seguito un periodo di sbandamento che lo aveva avvicinato alle formazioni extraparlamentari di estrema destra. Un picchiatore fascista, insomma.
Iscrivendosi a un corso paramilitare di paracadutismo, aveva preso il brevetto di lancio, privatamente, perchè da figlio unico di madre vedova era esente dagli obblighi di leva.
Il suo progetto di andare a combattere in Congo era maturato quando Ciombe, diventato nel frattempo capo dello Stato congolese, aveva lanciato un secondo bando agli europei, per fronteggiare i ribelli comunisti, i Simba, che andavano insanguinando il Paese, uccidendo grandi e piccoli purché bianchi o "servi dei padroni". Era così, almeno, che Robert Muller interpretava i fatti.
Nel 1965, partito in treno fino a Bruxelles con l’amico Girolamo, si era arruolato nell’ambasciata del Congo e poi era aveva raggiunto in aereo Leopoldville, la capitale, destinato al reparto Paras Cobra Bukavu.
A Stanleyville prima operazione, un rastrellamento intorno all’aeroporto, prima cattura di due ribelli che sparavano contro gli aerei in atterraggio e primo dei tanti ordini feroci dei superiori, da eseguire senza obiettare: uccideteli, non facciamo prigionieri! Aveva solo 22 anni. Capì che non sarebbe più stato il ragazzo di prima. Pur avendo ucciso un uomo, non si sentiva un assassino. Era certo che al suo posto quello avrebbe fatto la stessa cosa, magari non in modo altrettanto rapido e indolore.
L’avventura continua per il "biondino", tra imboscate tese e subìte, massacri e lunghi scontri a fuoco, in compagnia di militari in congedo, di ex legionari, di neonazisti, di paracadutisti di ogni nazionalità. Tanti poco di buono, qualche eroe.
Al ritorno in Europa, congedato con due mesi di anticipo sull’anno sottoscritto, dovette imparare a dormire di nuovo in un letto, senza sdraiarsi a terra. Dieci mesi in Congo lo avevano cambiato definitivamente, la vita di tutti i giorni gli sembrava un abito di una misura sbagliata.
Fece di tutto per ripartire, per trovare una guerra che facesse per lui. E la trovò nello Yemen: la ribellione monarchica, fomentata dall’Arabia Saudita, contro i repubblicani, armati dal blocco dell’Est e dalla Cina. Altri mesi di azione. Poi il ritorno sempre difficile alla vita civile.
È stato a lungo in Sudafrica e risiede in Francia. I rimpianti fanno parte della vita:
“nonostante ciò non mi sono mai pentito di quello che ho fatto. Se non avessi vissuto quei periodi così intensi, di libertà assoluta, quel volere andare oltre, più avanti e ancora di più, oggi sarei un povero vecchio”.
Alle volte, confessa tristemente,
“penso che sarebbe stato meglio morire in quel tempo, nel pieno dei miei anni migliori, correndo incontro alla sfida della vita, come è successo a molti di noi, e non vedermi morire ora. Giorno per giorno”.
Che differenza tra le avventure del giovane parà e le malinconie dell’anziano Robert Muller.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Un parà in Congo e Yemen 1965-1969
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