Sono una creatura è un componimento del poeta Giuseppe Ungaretti pubblicato per la prima volta nella raccolta Il porto sepolto (1916). Successivamente la poesia fu inclusa nella seconda sezione della raccolta Allegria di naufragi (1919), oggi meglio nota con il titolo definitivo de L’allegria.
La poesia Sono una creatura come molte altre composte da Ungaretti durante la Prima guerra mondiale è preceduta da una precisa indicazione di luogo e tempo: “Valloncello di Cima Quattro, il 5 agosto 1916”.
Il poeta si trovava infatti nei pressi del monte San Michele, vicino a Gorizia, dove gli eserciti italiani erano schierati nell’agosto del 1916 in attesa dell’imminente conquista della città. Monte San Michele, in quei giorni, definiva il confine strategico tra i territori controllati dall’esercito italiano e quelli posti invece sotto il potere dell’esercito austro-ungarico.
Nel breve componimento, tre strofe in versi liberi, Ungaretti descrive tutta l’assoluta disumanità della guerra, ma soprattutto intesse una toccante riflessione sulla sofferenza umana che fa parte della vita.
Vediamo ora testo, parafrasi e analisi del componimento.
Sono una creatura di Giuseppe Ungaretti: testo
Come questa pietra
del monte San Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimataCome questa pietra
è il mio pianto
che non si vede
La morte
si sconta
vivendo
Sono una creatura di Giuseppe Ungaretti: parafrasi
Come questa pietra
del monte San Michele
così fredda,
così arida,
così resistente,
così totalmente
priva di vita,
Come questa pietra
è il mio pianto
che scorre invisibile.
Il destino di morte
si sconta
attraverso le sofferenze del vivere.
Sono una creatura di Giuseppe Ungaretti: analisi del testo
Il componimento è basato su uno schema metrico molto libero: quattordici versi, suddivisi in un’ottava e due terzine, senza rime né segni di punteggiatura.
L’intera poesia è costruita su una lunga similitudine preceduta dall’avverbio “come”. Il paesaggio del Carso, freddo e desolato, viene paragonato all’animo del poeta che è ormai pietrificato in una sofferenza invisibile.
Le immagini, così come le emozioni, sono ridotte all’essenziale come è tipico della poesia ungarettiana. Dopo aver descritto il paesaggio desolato e montuoso del Monte San Michele, il poeta, nella seconda strofa, introduce il secondo termine di paragone in seguito alla ripetizione dell’incipit: “il mio pianto che non si vede”, passando così dalla pura descrizione paesaggistica a una dimensione interna, più umana e introspettiva.
Con un’efficace similitudine, l’animo del poeta viene dunque paragonato alla pietra fredda e dura che caratterizza le catene montuose friulane. Ungaretti pone i sentimenti del lettore in sintonia con la sua sofferenza, ovvero un dolore così totale ed estremo che non possiede neppure più lacrime per essere esternato.
Nei versi finali il poeta passa da una dimensione privata-individuale, quella del soldato che assiste impotente alla tragedia della guerra, a un dimensione universale. Quegli ultimi tre versi di rara intensità, come ce ne sono pochi nella poesia italiana, sembrano narrare un’estrema verità universale della storia umana.
La morte
si sconta
vivendo.
Soltanto tre versi che hanno il valore di una sentenza, un’asserzione spietata, lapidaria.
Con queste parole Giuseppe Ungaretti sottolinea l’impossibilità umana di sfuggire al dolore che caratterizza l’esistenza. È infatti attraverso il tortuoso percorso della vita, sottolinea il poeta, che l’essere umano sconta realmente il destino di morte cui tutti siamo destinati.
La conclusione di Sono una creatura è tragica, ma al contempo consolatoria: il poeta osserva che in realtà l’essere umano paga il sollievo offerto dalla morte con le sofferenze scontate nel corso della vita. La morte dunque, a giudizio di Ungaretti, assume un significato positivo rispetto alla vita che - per il poeta duramente provato dalla guerra - rappresentava il vero inferno.
È chi resta vivo, osserva nella conclusione il poeta, l’unico che deve fare i conti con la morte. Attraverso la contrapposizione ossimorica tra morte/vita, Ungaretti pone l’accento sulla morte che, paradossalmente, è una faccenda che riguarda solo coloro che sono in vita e dunque percepiscono l’angoscia, lo struggimento, della propria mortalità.
Sono una creatura di Giuseppe Ungaretti: figure retoriche
La struttura semplice della poesia Sono una creatura si accompagna però a un complesso e variegato schema di figure retoriche che scandiscono l’andamento del componimento.
Sono infatti le figure retoriche a dare ritmo al componimento, in assenza delle rime, mentre i frequenti enjambement e gli spazi bianchi compensano la mancanza di punteggiatura.
Nella prima parte della poesia, Ungaretti procede con un’accumulazione di aggettivi che sfocia in una climax ascendente, che arriva al culmine con quel: “totalmente disanimata” che caratterizza la pietra.
La ripetizione insistita del verso iniziale e della similitudine “come questa pietra” intende accentuare i termini di paragone su cui la poesia è fondata, mettendo in stretta comparazione le strofe.
- Similitudine = “Come questa pietra” (v. 1 e 9);
- Assonanza= “pietra-fredda”; “prosciugata-refrattaria-disanimata”;
- Allitterazioni = delle consonanti "t" ed "r": "questa pietra; prosciugata refrattaria";
- Anafora = “così…così,” posta all’inizio di più versi (vv. 3-7);
- Anastrofe = “come questa pietra / è il mio pianto” (vv. 9-10);
- Epifonema = “La morte si sconta vivendo”, un’asserzione che ha valore di sentenza, ogni giorno con la nostra sofferenza paghiamo un tributo. (vv. 12-14);
- Enjambement = vv. 1-2; 7-8.
- Climax ascendente = “fredda, dura, prosciugata, refrattaria, disanimata”.
- Ossimoro = la contrapposizione tra morte/vita data da “morte” e “vivendo” (vv. 12-14).
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Sono una creatura” di Giuseppe Ungaretti: la poesia simbolo dell’angoscia esistenziale
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