Lo zio del barbiere e la tigre che gli mangiò la testa
- Autore: William Saroyan e Fabian Negrin
- Genere: Libri per bambini
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Orecchio Acerbo
- Anno di pubblicazione: 2017
Un racconto di William Saroyan del 1935, tradotto in italiano da Elio Vittorini, viene pubblicato ora da Orecchio Acerbo in una nuova collana, Pulci nell’orecchio, che ha come peculiarità quella di essere corredata dalle immagini dell’ormai celebre illustratore Fabian Negrin. Chi segue l’editoria di qualità per bambini e non solo, conoscerà certamente questo artista, che qui apre il libro con una enorme tigre a tutta pagina che annuncia già il contenuto della favola, un po’ paurosa, che verrà raccontata dal giovane narratore: lui, undici anni, ha i capelli lunghissimi, e sua madre, il fratello Krikor, la signorina Gemma non fanno che ripetergli ossessivamente la richiesta:
“Quando ti vai a tagliare i capelli???”.
Ma quando un giorno, riposando sotto un noce si addormenta, sognando
“le magiche città del mondo, New York, Londra, Parigi, Berlino, Vienna, Costantinopoli, Roma, Cairo... feci un sogno, una volta, nel 1919”
svegliandosi si accorge che un passero aveva cominciato a costruirsi un nido in quella lunga massa di capelli, e il passero felice cantava! La decisione è presto presa, andare dal barbiere, in via Mariposa dove uno strano barbiere armeno tagliava i capelli. In realtà nella insolita bottega il barbiere leggeva un libro armeno, offriva caffè ed era riluttante a tagliare i capelli al ragazzo, preferendo invece raccontargli una storia. L’uomo, basso, aveva la
“faccia di un uomo che sa, eppure ama, e non è malvagio”.
Il racconto di Aram, questo il nome del barbiere, riguardava suo zio Misak, nato poverissimo a Moush, incapace di guadagnare per vivere. Aveva girato tutta l’Europa, in cerca di fortuna, finché non era capitato in un circo francese che si esibiva in Cina, e per vincere la miseria si era adattato a compiere un numero pericolosissimo, mettere ogni giorno, durante lo spettacolo, la testa nelle fauci di una tigre addomesticata... ma dopo aver tanto girato con successo, a Teheran, “quella brutta città marcia della Persia”, la storia si era conclusa tragicamente. Nel frattempo, mentre il barbiere proseguiva il suo spaventoso racconto, i capelli erano stati tagliati, malissimo, e il ragazzino quasi non si riconosceva nello specchio; tuttavia il desiderio che i capelli ricrescessero presto era dettato dal desiderio di ritornare dal barbiere/narratore, che lo aveva così tanto affascinato.
Ecco dunque descritto con maestria da William Saroyan il potere seduttivo della parola, della favola, della paura che si ingenera nell’atto del raccontare, ma che è alla fine così catartica: il bambino che esce di corsa dal negozio del barbiere con i capelli corti è l’ immagine realistica di Negrin che conclude la storia, antica, ma attualissima, come lo è ancora di più quella che vede le sole mani del barbiere all’opera, mentre i piccoli passeri si affollano sui capelli ingarbugliati del ragazzino.
Lo zio del barbiere e la tigre che gli mangiò la testa
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