Autunno. Il tempo del ritorno
- Autore: Alessandro Vanoli
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2020
Il fascino delle stagioni di mezzo sta nel carattere sfumato. Nell’essere al contempo anticipo e fine di periodi invece più marcati e meno carichi di suggestioni. Nel porgersi come stagioni di transito, primavera e autunno si fanno interpreti di sfumature che introducono a sensazioni sottili, struggimenti, impalpabili rêverie. Il terzo capitolo della quadrilogia sulle stagioni, affrescata dallo storico Alessandro Vanoli, Autunno. Il tempo del ritorno (il Mulino, 2020), appare colma di simili significanze, ontologismi meridiani, sconfinamenti di ambito percettivo. La notte autunnale del 31 ottobre — ideale interstizio che unisce i vivi e i morti — può assumersi, per esempio, come allegorica della valenza di viadotto esistenziale di cui si carica l’autunno, stagione dell’anno indecisa tra “non più” estate e “non ancora” inverno, con tutto ciò che essa sottende a livello subliminalmente. A pagina 8 del libro, Alessandro Vanoli, poeticizza così:
“L’autunno è un po’ così: come un tornare a casa quando il viaggio si è compiuto. L’entusiasmo un po’ folle della primavera ormai lontano; la serena pienezza dell’estate già alle spalle. E l’autunno lì davanti, che par quasi oscillare tra due mondi: comincia nel caldo residuo dell’estate e nella sua abbondanza, per terminare bel freddo dell’inverno e dei suoi rigori”.
Come i volumi che lo precedono, dedicati a Inverno e Primavera, anche questo si muove trasversalmente a retaggi storici, pittorici, poetici (San Martino, I pastori), filosofici e narrativi, proponendosi scopertamente come un invito al “viaggio”: dall’autunno primevo dei pastori e degli dei a quello attuale di Halloween. Tra l’uno e l’altro autunno, ineludibile, il lungo passaggio medioevale dei mille timori, dei grandi “vuoti” geografici, della pioggia e del bosco, della vendemmia, delle castagne e dei santi.
“Di cosa è fatta la paura? Di solitudine tanto per cominciare. E la solitudine in quei tempi lontani doveva essere tangibile. Nessuno sa contare bene i numeri di quel passato: nessuno sa dire per davvero quanta gente ci fosse in giro. Ma poca di sicuro […] che vuol dire cioè un vuoto impressionante: camminare per giorni e giorni senza vedere un’anima. Chissà che effetto doveva fare allora a un viandante scorgere di lontano, magari su una rupe, la sagoma scura di una chiesa o un monastero”. (pag. 59)
Benché Autunno si occupi in prevalenza di storia (nel senso più lato in cui essa si intende) lo stile di Vanoli ha dalla sua ritmo e colore narrativi che consentono una lettura "ad animo sospeso", disposta all’incanto, e, perché no, alla malinconia che più riscalda il cuore: quella legata ai ricordi del tempo passato e agli autunni dell’infanzia.
Autunno. Il tempo del ritorno
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