Balilla e piccole italiane
- Autore: Cristina Obber
- Genere: Storie vere
La brava e sensibile Cristina Obber continua, con questo breve libro, il suo lavoro da "cronista" al servizio della memoria delle persone semplici. Dopo avere pubblicato "Primi baci", una raccolta di testimonianze aventi come tema il primo amore degli intervistati, eccola infatti a proporci questa vera e propria antologia che prosegue il discorso iniziato con la precedente, quasi integrandola. Anche stavolta si tratta di testimonianze offerte da persone nate nella prima metà del Novecento, ma l’argomento è più vasto di quello, pur molto importante, legato ai primi turbamenti sentimentali.
Punto di partenza è, in questo caso, la scuola, con tutte le gioie, le sofferenze e le difficoltà che la sua semplice frequentazione comportava all’epoca. Probabilmente gli scolari d’oggi accoglieranno simili racconti, da parte dei loro nonni, con insofferenza, o, nel migliore dei casi, con una bella risata gonfia d’incredulità, presi come sono a districarsi fra internet e programmi di scrittura, e magari a escogitare il sistema migliore per nascondere il telefonino a un insegnante un po’ troppo zelante. Ascoltare della severità di certi maestri potrebbe dare loro l’impressione di trovarsi davanti a un film dell’orrore, e scoprire che, nonostante tutto, molti scolari amassero comunque andare a scuola potrebbe risultare incomprensibile. Ma questo è quello che le testimonianze di questo libro ci restituiscono, quello che la scuola rappresentava per questi giovani allievi: l’unica possibilità di miglioramento, di riscatto, l’unica speranza in una vita migliore di quella che stavano conducendo i loro genitori. Sono storie di ordinaria miseria, di ordinari sacrifici, che ci fanno scuotere la testa dallo stupore e dalla pena che genera in noi, inconsapevoli privilegiati, il pensiero di una vita simile.
Su tutti i racconti aleggia il pesante e costante spettro del fascismo, come ci anticipa la copertina contornata di nero, che mostra la foto di due bambini vestiti da piccoli fascisti, oppressi dalla pesante "M" sul petto, con le espressioni tristi e smarrite di chi non comprende quello che sta facendo, ma intuisce di non trovarsi in una situazione desiderabile. Mussolini, sono quasi tutti concordi nell’affermarlo, iniziò facendo cose buone, e si nominano le bonifiche; ma poi contagiò tutti con la follia della guerra, dello sterminio. Il fascismo viene descritto come ciò di cui non si poteva neppure discutere, tantomeno osteggiare: era così, e basta. Il governo si prendeva tutti gli averi della povera gente, e gettava i loro cari in pasto alla guerra che divorava tutto. In poche parole esce fuori il dolore della gente comune, che non capiva neppure cosa significasse fascismo, ma spesso ha avuto la vita rovinata, la famiglia smembrata, ha perso tutto per la vanità di un uomo.
Vi sono anche testimonianze di persone più fortunate, di famiglia agiata, ma sono sempre e comunque storie di impegno e di lavoro, segnate da vari trasferimenti non solo in Italia. Esemplare la storia di Teresa, emigrata in Svizzera, dove gli italiani erano definiti "zingari": davvero, il passato può insegnarci molto anche del nostro presente, e spiegarci che per ciascuno arriva il turno di essere emarginato per futili motivi. Parlano anche tre religiose, la cui vita non è stata, in ogni caso, facile.
Ancora una volta, quindi, stralci di vita sui quali riflettere, dai quali imparare, al servizio dei quali l’autrice si è messa ancora una volta, con pazienza, umiltà e sempre molto amore.
- Attiliofraccaroeditore, 2009
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