Col corpo capisco
- Autore: David Grossman
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Mondadori
Fino a ieri credevo che non si potessero esplorare le coste frastagliate dei rapporti umani sulla
carta senza essere banali, incompleti o semplicemente insoddisfatti.
"Col corpo capisco" di David Grossman, edito da Mondadori, probabilmente non è il frutto migliore
dell’autore israeliano, non risponde e non riempie del tutto l’universo che la vicinanza con qualcun
altro genera, ma ha un merito che mi sento di riconoscergli pienamente: getta luce dove ci sono
solo profondità intense, nelle fessure tra l’amore e il dolore, dove anche solo un cerino può bastare per vedere meglio.
Nell’abitacolo di un’automobile in viaggio verso un luogo sconosciuto c’è Shaul, il suo amore per
la moglie Elisheva e sua cognata. C’è il tradimento che Elisheva consuma da anni, che Shaul ha
scoperto senza svelarsi, creando, immaginando, vivendo da presso e al contempo da lungi l’alfabeto
ossessivo di gesti, tenerezze, scoperte tra amanti senza voler fare niente, senza poter che essere
spettatore volontario dell’amore altrui, conficcato dentro l’amore degli altri e nello stesso tempo
trafitto dal suo, così terribilmente fuori da ogni superficiale spiegazione razionale. Shaul si fa male, non si dà tregua e si racconta staccando da sé piccole schegge di realtà e
immaginazione, saggiando con i piedi feriti il confine tagliente tra ossessione e amore nella sua
intima purezza.
Questo racconto, il primo dei due che compongono l’opera, in italiano si intitola
"Follia", ma a detta di Grossmann stesso la traduzione più aderente al termine ebraico da lui scelto
sarebbe stata "infiammare se stessi fino a portarsi al grado della pazzia". La vita degli altri
solamente immaginata, eppure così drammaticamente reale e in fiamme, è uno dei tanti nessi
sotterranei che legano l’abitacolo claustrofobico dell’auto di Shaul con il letto di Nili morente,
protagonista del secondo racconto. La figlia di Nili le legge una storia scritta da lei, una storia che
non è né vera né falsa, ma è la storia di Nili stessa: lezioni di yoga e sensazioni terrestri, solletichii sottili sulla pelle, profondità appena scoperte e tentate, e la relazione (se si può chiamare con un termine così insufficiente lo sfregarsi
lieve di due anime tremanti) di Nili con il suo giovane allievo.
Intorno a questi due grumi conflittuali (Shaul ed Elisheva, Nili e la figlia) altri rapporti e piccoli universi in
perpetuo compenetrarsi si fanno sostanza come fantasmi terribili: la cognata
che accompagna Shaul nel suo viaggio in macchina e nel suo viaggio infero fino alle ferite più
profonde, che nessun altro dovrebbe mai guardare; il ragazzo che studia lo yoga e impara a
non essere più solo figlio; l’amante di Elisheva che, da un mare sicuro di amore e consapevolezza
di sé, la chiama una volta e ha ricevuto quella risposta che Shaul intensamente brama dai suoi
gorghi fratturati in tante insicurezze abissali.
In questo romanzo, ogni gesto che sembra sicuro si frantuma in schegge che toccano, feriscono
e rivelano debolezze sottili, pronte a rigare ciò che in origine era perfetto: l’uomo e la donna nella
loro forma più pura. Ogni singolo gesto si rivela per quel che è, privo di consapevolezza e per
questo così teneramente umano da svelare il sentiero che può anche portare all’altro o può farci
diventare altro da noi man mano che l’amore, la vita, il dolore e la morte rivelano al corpo quanto
può ferirsi, infreddolirsi, esiliarsi, ma anche amare nel profondo.
“Col corpo capisco” rivela il montare furibondo di sofferenze, dolore e
amore contro i fragili parapetti che tutti noi, non solo Shaul o Nili o Elisheva, vanamente innalziamo.
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