A Enea Finzi non sparano in fronte
- Autore: Vittorio Orsenigo
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2015
Enea non era un ebreo osservante, ma da Treblinka era tornato vivo, mentre tanti israeliti ortodossi e gente migliore erano finiti uno sull’altro. A lui, quel certo Klaus con la pistola facile non aveva sparato. Qualcuno tornato dai campi di sterminio non sterminato è una rarità. Vero? “A Enea Finzi non sparano in fronte” (Edizioni Imprimatur, novembre 2015, 158 pagine 14 euro) è un libro sopra le righe, breve, scritto a schizzi e rimbalzi continui dal presente al passato prossimo e remoto. Mantiene uno scetticismo di fondo, come di sorpresa, una domanda sospesa, senza risposta: perché io? Una curiosità forte ma inappagata. L’autore è Vittorio Orsenigo, poliedrico uomo di cultura novantenne, approdato in età matura alla narrativa, altra penna rispetto ai contemporanei, altro stile, che racconta di un protagonista tutto sommato antipatico e per niente vittima dell’Olocausto o, al contrario, disperatamente martire.
Occorre consumare il libro quasi fino in fondo, per fare pienamente conoscenza con Enea Finzi,
il cui nonno materno e relativa moglie erano a causa di quel nome finiti a Treblinka in più occasioni esibendosi con il violino nell’orchestrina del Campo diretta da un mezzo gitano, si era forzatamente unito ai congiunti dietro il filo spinato.
Ecco come lo presenta Orsenigo, con una punteggiatura sommaria, che crea ingorghi sintattici, contaminazioni dialettiche, mescolanze. Come Enea dopotutto, si comportava da essere votato al disordine, all’accumulo, alla confusione sia voluta, e dunque colpevole, che non voluta e, dunque perdonabile.
Enea Finzi, dunque, un sopravvissuto per caso. Perchè io? Un deportato nei campi di sterminio come tanti, sebbene da due generazioni la sua famiglia avesse molto diluito l’ebraismo, ma quello era un aspetto che ai tedeschi non diceva niente.
Lo si conosce sulle prime come un soggetto di poche parole e ancora più scarse amicizie, se si eccettua l’infermiere Ottone, che lo aiuta in occasione del ricovero per uno scherzetto del cuore. Un raro provvido sostegno, sempre a voler dimenticare quel certo Klaus, un tipo un po’ così, di guardia nel lager,
che tre o quattro volte e senza preavvisi si era lasciato sfuggire strane confidenze. Strane, sì, ma sempre confidenze: “Non ho nulla da nascondere. Ho detto nulla. Se hai qualche dubbio, se credi che voglia ingannarti, sparo”.
A lui però non aveva sparato, a tanti altri sì.
Ancora non si spiegava cosa avesse di bello lui per non essersi beccato una pallottola in fronte (Klaus sparava solo in fronte con estrema precisione, e non la tirava mai per le lunghe).
Da Treblinka era tornato, non migliore né peggiore, riflessivo e perplesso, con un che di malinconico, come Jean Gabin nei film di Marcel Carnè o Gabin attore in genere. Espressione monocorde. Ma quello recitava. Già, anche Enea recita la sua vita: un modesto stipendio da concierge di un hotel lussuoso a Montecarlo, accanto al Casinò, capace di parlare cinque lingue oltre la propria.
Alla pallottola di Klaus o al gas Zyclon morte sicura era sopravvissuto, non pensava mai che il suo cuore si sarebbe trasformato in una brutta bestia, una bestia feroce, un organo irascibile. Fino a quel giorno del cuore in generale e del suo in particolare si era sempre fidato. Non aveva mai perso un colpo.
A Enea Finzi non sparano in fronte è un romanzo sull’Olocausto? No, quanto meno non solo, perché di Shoah nel romanzo ce n’è poca, se si toglie quel mezzo gitano direttore d’orchestra, azzannato da un pastore tedesco cui piaceva poco e niente e i tedeschi avevano subito trovato un altro cane, non meno feroce ma amante della musica. Lo azzannava ma solo di tanto in tanto.
Certo, c’è pure il modesto ma produttivo sterminatore Klaus che non aveva eliminato Enea, per motivi forse ignoti a lui stesso. Non gli aveva mai sparato e quando gli americani erano arrivati, due ore prima dei russi, nessuno l’aveva più visto.
Perché perdere la testa per capire gli itinerari imperscrutabili del destino? Ci sarebbe da rimbambire, pensa Enea Finzi, ad inquadrare quanto era successo a lui e a diecimila altri. La vita, dopo respirava solo morte.
Vittorio Orsenigo è nato a Milano nel 1926, è regista, scrittore, pittore, e – curiosità - studioso delle barriere coralline. Nel secondo dopoguerra, su progetto di Elio Vittorini ha avviato un ciclo di letture nella Casa della Cultura milanese Filodrammatici con opere anche di Brecht. I primi scritti organici arrivano nell’ultimo decennio del ‘900: racconti e testi su riviste letterarie e, finalmente,
romanzi.
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