A Venezia o altrove
- Autore: Massimo Bertacchi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2018
Una lezione di tecnica nautica piratesca e antipiratesca del XVI secolo nel Mediterraneo: è uno dei dei regali dell’esperto Massimo Bertacchi ai lettori del secondo romanzo in carriera, A Venezia o altrove, pubblicato nel dicembre 2018 (304 pagine), per la Biblioteca dei Leoni di Castelfranco Veneto.
Emiliano e da poco sessantanne, l’autore si è innamorato di Venezia nei tre anni di corso presso il liceo navale Morosini, che ha sede nella città dei dogi. Pur esercitando la professione medico-dentistica, non ha dimenticato la passione marinara e gli studi compiuti da adolescente. Li ha messi a frutto nel primo titolo, L’oro di Candia, proposto nel 2013 da un altro editore e di cui il più recente romanzo storico è il seguito indipendente.
A Venezia o altrove non importa, "a Venezia o altrove ti troverò": il sottotitolo collega la nuova storia a quella narrata sette anni fa e di cui i nuovi eventi raccontati rappresentano gli sviluppi. Ma Bertacchi suggerisce di considerare il secondo lavoro autonomo e leggibile separatamente dal primo. I rimandi tra i due si limitano al minimo sindacale e la trama regge, a prescindere dalla precedente.
L’odontoiatra scrittore di Sassuolo fornisce un’altra avvertenza: in una breve nota iniziale informa che solo i protagonisti principali sono frutto di fantasia, pur sempre contestualizzati nella corretta dimensione storica dei tempi. Avvenimenti e personaggi secondari sono il più possibile autentici, per quanto possano sembrare immaginari. La realtà storica è funzionale a un racconto epico avventuroso ed è quella di un secolo chiave per il mare nostrum e i paesi europei, nordafricani e del Medio Oriente che vi si affacciano.
Un’ulteriore premessa - dell’ex allievo del Collegio navale più che del dentista - riguarda il frequente e corretto ricorso a vocaboli marinareschi antichi o desueti, riuniti in un utile glossario in appendice. Affascinante, specie per quanti abbiano condiviso la formazione nautica dell’autore adolescente, la descrizione dei battelli, con la distinzione tra Galee Grosse da commercio (o caracche) e Galee Sottili da combattimento. C’era poi il naviglio leggero e veloce: le fuste, gli sciabecchi, tutte navi a vela e a remi, capaci di affrontare ogni condizione meteomarina, a parte i non infrequenti fortunali.
In avvio della nuova narrazione, Nane, l’ex falegname dell’arsenale veneziano, cerca di raggiungere la ragazza che ama. Thera ha lasciato Venezia per tornare nella nativa Candia a rivendicare la parte che le spetterebbe dell’eredità paterna: il padre Andreas aveva fatto fortuna producendo vino dolce di malvasia. La giovane sa bene che il fratello non sarà disposto a riconoscerle nulla, ma si sente costretta a fare un tentativo, per assicurare un futuro alla sorella maggiore debole di mente, ospitata in un convento.
Solo per poche ore Nane non riesce a intercettare Thera a Bari. La ragazza ha già trovato un passaggio verso l’isola mediterranea di Creta, dove i veneziani difendono il loro possedimento, l’antica Hyraclion, il territorio della città portuale di Candia.
Nane deve attendere tre giorni il carico di una caracca genovese diretta in Egitto. La nave commerciale salpa sola verso il mare aperto e incoccia presto in due velocissime fuste piratesche. L’inseguimento e l’abbordaggio consentono a Bertacchi d’illustrare le tecniche di navigazione e di difesa-offesa ordinate dal comito, il capo caracca, all’equipaggio aggredito. Ma tutto si rivela vano, i pirati barbareschi speronano e abbordano la galea, depredando il carico e sequestrando passeggeri e marinai superstiti prima dell’affondamento del natante aggredito. Il giovane, leggermente ferito, finisce in schiavitù.
Tra le varie fasi di azione e approfondimento delle situazioni emotive e sentimentali, si possono seguire le iniziative dei compagni di sempre, Pietro Matteo e Zuan, per ritrovare e mettere al sicuro l’amico. Ci si sposta per mare e di terra in terra, deserto compreso. Poi c’è sempre da tenere conto di Thera, dopotutto.
A Nane tocca intanto dividere con gli altri rematori la tremenda esperienza in catene sulle galee turchesche. Non c’era pietà per i cristiani che non accettassero di diventare mussulmani. Erano avvinti ai remi, la più piccola violazione punita severamente, un atteggiamento fiacco costava sangue e quando sembravano troppo deboli o vecchi non c’era che la morte, spesso in mare dove venivano gettati senza perdere tempo.
Nonostante l’orrore di quella vita, non erano molti a convertirsi all’Islam o fingere di farlo. Il timore di Dio frenava il ricorso a quella via d’uscita dalla sofferenza.
E quando non c’era la navigazione, toccava l’incubo del bano, la prigione a cielo aperto in cui venivano stipati nottetempo, in condizioni terribili, per poi essere spinti in modo crudele di giorno verso il luogo in cui dovevano servire come manodopera nei campi.
Fame, percosse, epidemie mietevano vittime, rimpiazzate da nuovi arrivi.
Non si pensi che in Barberia i cristiani fossero solo schiavi: ad Algeri, negli stessi anni in cui si sviluppa il romanzo, circolavano liberamente mercanti italiani, europei ed ebrei, che ricettavano senza scrupoli i beni e prodotti rubati dai pirati musulmani. Vedere correligionari in catene non provocava compassione. Lucravano sulle loro sofferenze, senza il minimo senso di colpa.
Un personaggio incrocia Nane e finisce per rappresentare la quintessenza dell’egoismo e del tradimento. Alvise pagherà il fio delle sue colpe, come si diceva una volta?
A Venezia o altrove. A Venezia o altrove ti ritroverò
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