Amata per caso. Romanzo di un’adozione
- Autore: Stefano Zecchi
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2003
Stefano Zecchi è un artista poliedrico di grande sensibilità e talento, romanziere, pensatore, filosofo, critico d’arte e sociologo. Di lui, della sua indefessa produzione, ripesco con emozione un libro diventato best seller nella collezione "I miti" di Mondadori, intitolato Amata per caso con il sottotitolo "Romanzo di un’adozione" (2004, pp. 250).
È un libro che tiene avvinti dalla prima all’ultima pagina, con un pathos acceso e malinconico; sono pagine pensose. Racconta lo strappo e l’abbandono, la perdita e la sua ferita inguaribile, che tutti conosciamo ma abbiamo rimosso. In realtà è il dolore radicale, il trauma della nascita a cui faccio riferimento, da chiunque dimenticato, ma rivissuto in modo straziante dai bambini abbandonati o venduti, che sanno, più di noi, da subito, da sempre, che cosa siano il rifiuto, la perdita d’amore. Per questa parte di umanità che diventa emblema e prototipo esistenziale, è certamente possibile il superamento, andare oltre, ma mai in modo definitivo.
Malina è una bambina nata in una famiglia poverissima di pastori nel nord dell’India. Ama la sua valle ai piedi dei monti che toccano il cielo, innevati, il suo paesaggio, la sua famiglia, nella quale già lavora da piccolissima. Porta al pascolo le capre, conosce i rigori del clima, assapora la libertà sconfinata che dà il respiro della natura e il contatto con le forze ctonie.
Fuori dal sentiero che porta in paese, esiste un tabernacolo contenente una ruota di preghiera, tipico della sua religione. Nel libro la sua specifica religione non verrà mai nominata, ma la ruota e i monaci intravisti qualche rara volta in lontananza sono presenti. La ruota è simbolo del destino a cui non possiamo sottrarci. Quell’oggetto sacro resterà per Malina un ricordo indelebile. Da adulta vorrà ritrovarlo per comprendere se stessa, almeno quel tanto che è dato capire di noi.
La bambina a sette anni viene venduta per pochi soldi a un artista di strada. Quest’ultimo le insegnerà a danzare e i due, l’anziano musicista e la piccola danzatrice, si esibiranno per le strade, nelle feste e nelle fiere, per racimolare i pochi spiccioli necessari a mangiare. La vita da girovaghi è dura, si dorme per terra o tra la vegetazione lussureggiante. L’uomo è gentile, anche paterno, ma lei continua a chiamarlo padrone, sapendo bene di essere stata venduta. Lo vedrà morire sotto i suoi occhi, all’aperto, presso l’edificio di un istituto cattolico che raccoglie pietosamente i bambini randagi.
Molte sono le scene forti e drammatiche a cui Malina assiste o che le vengono narrate da altri bambini, nella sua odissea tanto precoce. Bambini mutilati per ottenere migliori elemosine, bambini abusati sessualmente sono la norma in un mondo di cui giunge soltanto l’eco attutita fino a noi.
Melina viene adottata da una famiglia milanese, ed è nuovamente sradicata. Verrà amata ma lei dice "per caso", per fortuna, per una combinazione fortunata della sorte. Studierà, tornerà in India come medico. Sentendosi "diversa":
"Avevo la loro faccia, la loro pelle, eppure mi vedevano diversa, forse perché indossavo la giacca e i pantaloni o forse perché la vita mi aveva resa diversa, non solo al di fuori della mia terra, ma anche tra la mia gente".
E nel cuore la ferita mai del tutto rimarginata sanguinerà in segreto:
"Dalle ferite della verità non ci si cura: rimangono sulla nostra carne per ricordarci che tutto quello che ci viene concesso chiede fatica, dolore. E, alla fine, riusciamo ad essere un po’ felici soltanto perché abbiamo imparato a desiderare ciò che già abbiamo".
Un po’ felici, scrive Stefano Zecchi, con la saggezza certamente acquisita attraverso la sua esperienza ma anche comunicatagli dalla ragazza indiana cresciuta. Lo scrittore informa che la storia raccontata è vera.
Zecchi riporta la protagonista di fronte al tabernacolo che racchiude la ruota sacra, ma tutto è assolutamente mutato nella terra sognata dell’infanzia. Allora la piccola era tanto piccola da non riuscire a toccare la ruota, posta più in alto di lei. Non poterla toccare dice efficacemente l’antica innocenza, l’ignoranza sulla crudeltà del futuro.
Ora Malina può toccare la ruota:
"Ricordavo quando, da piccola, il mio corpo si sporgeva allungandosi con tutte le sue forze e la mia mano di bambina cercava di toccarla, invano. Sfiorai la ruota e continuai a girarla, meccanicamente, finché riuscii a smettere di piangere".
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