L’amazzone dei gigli
- Autore: Alessandro Augusto Monti della Corte
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
Maria Carolina di Napoli (1798-1870), figlia di Francesco I di Borbone (1777-1830), Re delle Due Sicilie, e sposa di Carlo Ferdinando d’Artois (1778-1820), Duca di Berry, è nota soprattutto per il suo celebre tentativo di organizzare una sollevazione realista in Vandea nel 1832.
La nobildonna sposò il figlio di Carlo X (1757-1836) nel 1816, ma solo quattro anni più tardi l’amato consorte le fu sottratto dalle pugnalate di un sovversivo, che accoltellò il Duca all’uscita del Teatro dell’Opera. Maria Carolina, però, era già incinta e riuscì a dare un erede al trono di Francia: Enrico V (1820-1883), Conte di Chambord, detto "il figlio del miracolo".
I guai però non erano finiti e la rivoluzione di luglio, nel 1830, portò al potere Luigi Filippo di Borbone-Orléans (1773-1850). Costretta all’esilio insieme ai suoi familiari, la Duchessa di Berry non si arrese e iniziò a pianificare la sua restaurazione, per restituire la corona al figlio Enrico.
Quasi sessant’anni fa, nel 1961, è apparsa nelle librerie italiane una nuova biografia di Maria Carolina di Borbone: L’amazzone dei gigli, un saggio del Barone Alessandro Augusto Monti della Corte (1902-1975), scrittore cattolico, esponente della corrente monarchica all’interno del fascismo e attivista monarchico negli anni della repubblica.
Patrizio bresciano e Cavaliere di Malta, legionario fiumano a diciotto anni, docente universitario e due volte volontario di guerra (in Africa Orientale nel 1935-36 e poi, sempre in Etiopia, durante la Seconda Guerra Mondiale), Monti della Corte studiò sin dalla giovinezza le opere dei maggiori pensatori legittimisti europei e italiani (gli oppositori della rivoluzione francese e del risorgimento), arrivando a inglobare parte delle loro riflessioni nella sua personale visione politica.
L’amazzone dei gigli è un saggio che non può essere considerato banalmente divulgativo, si tratta di un libro scritto con uno stile molto elegante (l’autore è stato anche un romanziere) e fondato su fonti italiane, inglesi e francesi (di cui sono citati ampi stralci in lingua originale), nonché su alcune ricerche archivistiche; l’aletta della sovraccopertina riporta:
"Non storia romanzata, bensì storia romantica, colorita e ombreggiata come un vecchio acquarello".
Lo studioso cerca di indagare il carattere della Principessa italiana, "una piccola donna, tutta nervi e passione". Coraggiosa e idealista, la Duchessa di Berry fu amatissima dai vandeani e dai legittimisti più irriducibili, a costoro ella appariva come la Giovanna d’Arco della buona battaglia. Gran parte del seguito del Re, invece, non condivise mai le sue "donchisciottesche fantasie siciliane" e le fu rimproverato di aver letto troppi romanzi di Walter Scott.
Nel testo vengono ricostruite le vicende del matrimonio segreto con il nobile siciliano Ettore Lucchesi (celebrato a Roma il 14 dicembre 1831) e dei tentativi compiuti dai legittimisti francesi per assicurarsi qualche appoggio internazionale.
La preparazione dell’insorgenza controrivoluzionaria fu studiata con cura, ma con troppo ottimismo. In Vandea, per l’ultima volta, fu innalzato
"lo stendardo bianco seminato di gigli, con al centro l’emblema del cuore di Gesù, sventolò arditamente, come otto lustri addietro, immacolato emblema della Francia cattolica, votata alla difesa dell’Altare e del Trono".
Tuttavia la spedizione si rivelò un fallimento. In quella sfortunata campagna militare una somma di errori impedì il coinvolgimento di una vasta massa popolare, nonché la coordinazione ordinata dei gruppi armati che si erano mossi da soli al grido di “Viva il Re Enrico V!”, “Viva la Religione!”.
L’intrepida Duchessa di Berry volle tentare
"l’impresa che doveva gettare uno sprazzo di luce – luce cavalleresca di epopea e di crociata! - nell’imborghesimento antieroico di un secolo che segnava il tramonto – od almeno l’eclissi – del prestigio monarchico, nobiliare e guerriero".
Attraverso i capitoli conclusivi, il saggista cerca di scagionare la guerriera cristiana dalle accuse che le furono mosse dai giornalisti di parte avversa. Nella sua indagine storica, consapevolmente, lo scrittore presenta il suo punto di vista come differente da quello di altri autori. Questo aspetto è particolarmente interessante: Monti della Corte, infatti, fu contemporaneamente un fervente cattolico e un nazionalista e nei suoi scritti cercò sempre di coniugare queste due posizioni. Come è stato detto, il testo fu stampato nel 1961, ma ebbe una genesi piuttosto lunga: "Questo è un libro, pensato più di vent’anni fa", recita l’introduzione.
Innegabilmente L’amazzone dei gigli è un libro superato, in effetti è ormai un oggetto d’antiquariato, recuperabile in qualche biblioteca, e nelle sue vecchie pagine si notano una cura grafica e una finezza che (purtroppo) faticano a trovarsi nell’editoria contemporanea.
Si deve inoltre riconoscere che questo testo è diventato esso stesso un documento per comprendere un’altra epoca, o meglio il passaggio tra due epoche, e lo si avverte sin dalle prime pagine.
Nella parte introduttiva dell’opera, l’autore parla in prima persona (una scelta, questa, che normalmente in un saggio di carattere storico si sarebbe dovuta evitare), con un tono apertamente nostalgico, ma con tranquillità e compostezza. Pubblicare un libro dedicato a uno degli ultimi episodi di resistenza prima della fine dell’epoca della legittimità e del diritto divino per Monti della Corte diventa l’occasione per parlare della fine dell’epoca in cui lui era nato e cresciuto, ossia il tempo degli ideali, prima della "paurosa epoca atomica".
Lo scrittore rimpiange il tempo in cui esistevano ancora uomini coerenti e pronti a sacrificarsi per le loro convinzioni:
"Legittimisti o anarchici, sanfedisti o massoni, liberali o cattolici – perfino i primi candidi e bennati marxisti che talvolta cadevano, da signori, in duello! - avevano in comune l’eleganza morale del sacrificio e del disinteresse. Sarà stato, magari, posa o vezzo studiato [...]", ma "Vivevano e morivano con dignità; puliti, coerenti fino in fondo con i propri principi".
Gli studi su Maria Carolina di Napoli, in tutti questi anni, hanno condotto a numerosi nuovi risultati e ai giorni nostri L’amazzone dei gigli ha poco da offrire agli studiosi dell’Ottocento italiano ed europeo. In ultima analisi, oggi, questo testo assume piuttosto l’aspetto di una testimonianza (soggettiva) sul Novecento, ossia sugli anni in cui è stato scritto.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’amazzone dei gigli
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