È atroce la luce
- Autore: Stefano Galardini
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2024
Vanto collettivo di un Paese, una regione, una città, il progresso materiale fatto di opere pubbliche e infrastrutture viaggia veloce, incurante delle vittime collaterali. Un esempio sono i contadini costretti all’esproprio dalla costruzione di un viadotto. Faticano a scorgere la luce del progresso, a quantificarlo in termini di vantaggio immediato, oppure fantasticano su un benessere che non li toccherà mai. Questo spunto realistico e crudele mette in moto È atroce la luce, il secondo romanzo di Stefano Galardini pubblicato da 8TTO Edizioni, che conferma le doti narrative di questo scrittore giovane, appassionato, legato alla sua Liguria.
Nato a Genova, Stefano Galardini da diversi anni vive nella provincia milanese con un gatto da un occhio solo, ama la musica rock ma la tradisce con il blues. Dopo il debutto nel 2017 con Il tempo dentro di noi sulla possibilità dell’amicizia tra un uomo e una donna, si è affermato con tre racconti selezionati per prestigiose antologie: Foll(i)a, Questione di giustizia e La coda del diavolo.
C’è uno scrittore ingiustamente dimenticato, grande, solitario e schivo, che ambienta il suo libro più noto nei borghi dell’entroterra ligure vicino al confine francese, con i personaggi che sono contrabbandieri. Il suo nome è Francesco Biamonti. Stefano Galardini lo sceglie per la citazione in esergo di questo romanzo avvincente e profondo, ambientato negli anni Ottanta a Morre, un paesino immaginario nell’entroterra ligure che di finto ha solo il nome (con tutta la buona volontà non sono riuscita a identificarlo) perché l’ambientazione è di grande impatto.
Atroce è la luce racconta una storia familiare sfaccettata che copre trent’anni, ricca di colpi di scena, verità sepolte e scavi introspettivi, e ricostruisce a posteriori il doppio mistero di una scomparsa e un furto. È una storia forte sui legami di sangue, il peso delle scelte e della verità, la natura dell’amore e di quella paura che annebbia la mente. Ben condotta l’analisi dell’impatto psicologico del progresso sui centri rurali.
A sessant’anni e con i primi acciacchi dopo una vita di lavoro, il contadino Giuà si avvelena l’esistenza al pensiero di non poter badare al terreno come una volta. Ne ha fatta di strada da quando faceva il bracciante, e con quanto orgoglio ora ammira il suo podere, gli ulivi, le mimose, le arnie: la “roba”. È stata della moglie Rea l’intuizione che le api potessero essere un buon investimento, perché in due si sono sempre completati: lui il braccio, lei la mente, padrona e serva come spesso accade nelle società rurali. Un altro pensiero lo angustia in silenzio: la sorte del fratello Delio, di cui non ha notizie da anni. Determinato a fare fortuna senza spaccarsi la schiena nei campi, il fratello
Si era gettato in bocca alla vita a testa bassa e con una pistola in mano
diventando un passeur, uno dei tanti contrabbandieri che durante il secondo conflitto organizzavano oltreconfine il trasporto clandestino di armi, merci e persone. Agli occhi del paese, Giouà è rimasto il fratello di un bandito scomparso all’improvviso, ladro e vigliacco.
Dopo tanti sacrifici il piccolo mondo della coppia - che vive quasi disancorata dal tempo in una dimensione tutta sua di cui sono gli unici abitanti - viene investito dal progresso che ha la concretezza di un viadotto, perché il paese è stato inserito nel progetto di costruzione di un nuovo tronco autostradale. Il sindaco ha cercato di tranquillizzare la comunità, sbandierando i vantaggi dell’iniziativa che avrebbe portato turismo, la ripresa economica, un indennizzo a fronte di espropri e disagi. Spinti dalla necessità di coltivare un sogno, i più si sono fidati e in pochi non credono al lieto fine. Giouà e la moglie masticano amaro perché non c’è indennizzo che tenga per chi vive della terra e sulla terra con un amore viscerale; nessun risarcimento potrà ripagare un passato di sacrifici e poi il rumore, lo smog, lo sfregio del cemento. A sparigliare le carte di un destino che sembra già scritto ci pensa la natura, perché dopo piogge torrenziali una frana travolge l’area facendo affiorare qualcosa:
Un cumulo di melma si era riversato nello scavo del futuro pilone autostradale, dove il cemento e l’asfalto avevano arginato la corsa della frana [...] A tutta prima Giuà non riuscì a capire cosa attirasse così tanto l’attenzione, perché era marrone come il fango e si mimetizzava vicino al tronco di un albero spezzato. Al primo passaggio il suo sguardo non era riuscito a distinguerlo e a quello dopo era lì, impossibile da ignorare. In basso, brillavano di pioggia le ossa sporche di un cranio, più in là il bacino, un omero, l’ala lunga di un femore. Le orbite vuote ricambiavano lo sguardo del paese, rivolte mute al cielo bianco accartocciato sul filo delle colline.
Il macabro ritrovamento imprime alla vicenda una piega inaspettata. Sempre più convinto si tratti di suo fratello, Giuà intende scoprire l’identità dei resti. È un uomo solo contro il paese intero.
Ancorati al tempo fermo dei ritmi contadini o a quello sospeso dell’attesa, i protagonisti hanno i tratti netti di certe figure intagliate nel legno come in Salvatore Niffoi. Sono concreti e poetici, duri e fragili, buoni e spietati al tempo stesso. La loro interiorità trapela da gesti, sguardi, azioni. Parole poche. Secondari, comparse, figuranti, tutti i personaggi brillano di luce propria: da Frescolana, il solo a chiamare il protagonista con il nome di battesimo (privilegio dell’amico vero) al marinaio giramondo Ètienne; da Lilly, la bella del paese che sa tenere a bada gli uomini, a Leone che entra in scena al momento giusto con una rivelazione scottante; e poi ancora il maresciallo, il questore, il medico, il sindaco ambiguo mediatore tra innovazione e progresso.
Infine c’è il giovane Andrea, legato a un luogo senza futuro che i coetanei hanno abbandonato. Su tutti si staglia Rea. Più forte e coraggiosa di un uomo, dalla sensualità animalesca e pudica, funge da perno narrativo di una vicenda dove la parola "luce" acquista sfumature sinistre. Una figura difficile da dimenticare, ad arricchire la galleria di tante donne che non abbassando il capo di fronte alla sopraffazione, sono emarginate e temute dal gruppo.
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