Anche le parole sono nomadi. I vinti e i futuri vincitori cantati da Fabrizio De André
- Autore: Non disponibile
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2018
Fabrizio De André coltivava parole. Assegnava loro un nitore, un’esattezza di senso in grado però di rimandare a connotazioni ulteriori. E questo anche aldilà dalle canzoni: Fabrizio De André era meta-significativo anche quando parlava e non cantava, se così possiamo dire (pag. 126):
Le mie canzoni sono degli addii. Addio alle parole che canto, ai pensieri che vanno lontano dalla bocca, dalla lingua, dalla testa. Addio alle persone che le ascoltano dai dischi perché se le ascoltano vuol dire che sono passive, che loro non le sanno o non le vogliono cantare. Insomma anche loro sono morti. Così le mie canzoni sono degli addii ai morti. E d’altra parte si scrive per liberarsi di qualcosa, per dire addio a qualcosa o a qualcuno.
Dentro e fuori le canzoni, le parole di De André non sono mai state dunque parole qualsiasi. Sono state, al contrario, parole pensate-centellinate-assunte-rispettate-spese con cura e precisione chirurgiche. Bene ha fatto la “Fondazione Fabrizio De André” a destinargli un libro senza intermediazioni: le sue parole scritte e spese tra palco e realtà e poco più (un intervento di Dori Ghezzi a introduzione, uno di Erri De Luca come postfazione). Si intitola “Anche le parole sono nomadi. I vinti e i futuri vincitori cantati da Fabrizio De André” (Chiarelettere, 2018) e ne traspare un’accezione di mondo che dalla "signora Libertà, signorina Anarchia" arriva alle canzoni, alle interviste, ai concerti, e poi alla signora Libertà e alla signorina Anarchia ritorna di nuovo. Un’accezione di mondo ulteriore rispetto all’azione in sé di cantare e suonare canzoni, spiegarle in certi casi. Faccio un esempio, per chiarire meglio. A pagina 37, subito dopo il testo di La domenica delle salme, nel libro sono riportate le parole con cui Fabrizio De André commenta gli applausi a un suo concerto:
Grazie…Grazie. Anche se so da dove nascono gli applausi: dai riti sacrificali di popolazioni mesopotamiche…Oggi è andata male, bisogna inventarsi un domani: allora bisogna dividere il tempo e contemporaneamente pagare un prezzo per ingraziarsi il futuro. Questo prezzo è la vittima sacrificale la cui uccisione da una parte è l’espiazione di una colpa collettiva e dall’altra è il momento di divisione tra l’ieri cattivo e il domani si spera buono. Allora questo applauso nasceva dal bisogno di coprire le grida della vittima che bruciava. Per questo in età recenti si fanno e si consumano gli spettacoli e gli attori sono delle vittime sacrificali, delle finte vittime sacrificali a meno che la realtà non prenda il sopravvento sulla finzione.
Trovo questa disquisizione emblematica dell’uomo, prima ancora che dell’artista: acuto senza pontificio. Spiazzante per autodifesa. Ironico a un passo dalla surrealtà. Sui generis per modo di essere e mai per posa. Il libro raccoglie quindi alcuni dei suoi testi e le parole fuori dalle canzoni che in qualche modo li hanno accompagnati, assecondando aree tematiche topiche dello suo specifico: “L’infanzia negata”, “La vita subita”, “Il conflitto”, “La cecità”, “La vita negata”, “Il riscatto”. Superfluo soffermarmi sulle scritture poetiche (prima ancora che musicali) racchiuse nel testo – dall’umanissima L’infanzia di Maria, al suicidio di Tenco (Preghiera in Gennaio), dall’amore al tempo della guerra attraverso i soldati semplici Andrea (Andrea) e Piero (La guerra di Piero), al massacro di donne, vecchi e bambini indiani di Fiume Sand Creek, alle Anime salve che scopro essere i solitari (“Anime salve trae il suo significato dall’origine, dall’etimologia, delle due parole: vuol dire spiriti solitari. È una specie di elogio della solitudine, a pag. 151), a diverse altre stazioni come ha saputo visitarne-cantarne-parlarne da timido, da poeta non allineato, da intellettuale mai scontato Fabrizio De André. “Anche le parole sono nomadi” è il libro che lo dimostra. E dimostra anche come la canzone, se presa sul serio, possa essere una cosa molto seria. Per questi e per un bel po’ di altri motivi “Anche le parole sono nomadi” dovrebbe essere adottato nelle scuole. Nella speranza che ciò possa avvenire, cominciate col regalarlo voi ai vostri figli.
Anche le parole sono nomadi: I vinti e i futuri vincitori cantati da Fabrizio De André nei testi delle canzoni e nei suoi interventi in pubblico
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