Arrivederci a Berlino Est
- Autore: Roberto Moliterni
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2015
Il romanzo di esordio di Roberto Moliterni, vincitore del Premio letterario “La Giara”, si presenta con una copertina che mi ha subito colpito e coinvolto: una scrivania in teak, un telefono di bachelite e il timbro della Repubblica democratica tedesca, DDR: oggetti di modernariato, si direbbe. Infatti la storia raccontata si svolge prevalentemante nella Berlino Est dei primi anni Ottanta, in una pensione dove vive un personaggio di grande ambiguità, di cui sapremo, man mano che la storia si dipana, origine, attività, nomi, obiettivi.
La pensione è diretta con durezza dalla signora Wolf, caschetto grigio di capelli e approccio diretto: se la Stasi, la terribile polizia segreta le creerà problemi con il nuovo pensionante, lei sarà dalla parte dei poliziotti.
L’uomo claudicante ormai cinquantenne, che si fa chiamare “il Titta”, vive nella Berlino Est, ma viene da una vicenda rocambolesca e assai complessa, che Moliterni ci racconta alternando passato, presente, passato remoto.
Ecco il giovane siciliano Salvatore Vullo, questa la sua vera identità, combattere in Albania nel 1943: si trova al centro di violenze inaudite che gli italiani compiono sui civili inermi, che saranno vendicate dai partigiani comunisti; in mezzo a loro compare una bella diciassettenne dal basco viola, Malvina, che resterà in vario modo al centro della vita emotiva e affettiva del ragazzo e che avrà un posto privilegiato nella sua vita successiva.
Arrivederci a Berlino Est è sostanzialmente un noir, dove succedono nel corso degli anni, dal 1943 alla caduta del muro di Berlino, una serie di vicende che si intrecciano come in un drammatico puzzle le cui tessere parlano di torture, di doppie e triple identità, di servizi segreti, di donne sacrificate per amore della libertà, di amicizie tradite, di sacrifici inenarrabili pur di conquistare il diritto alla dignità e alla vita stessa.
La Berlino capitale della DDR è raccontata in modo magistrale: le trabant, le skoda, il ketwurst, la U-Bahn dove i poliziotti controllano chiunque in ogni momento, lo squallore dei caseggiati, la miseria degli arredi, la mancanza di telefono, la scarsità di cibo, la neve e il gelo che fanno da cornice al gelo che alberga nei cuori rassegnati dei berlinesi; la giovane cameriera Hellen, che spazza la stanza del Titta e che ne viene attratta, vorrebbe vivere in libertà la sua promettente carriera di pianista, ma, come Malvina, sarà sconfitta dalla tragica storia di quegli anni.
“La prima impressione del Titta... è di essere finito in un posto in cui il tempo scorre in modo diverso, come se, passata la frontiera, fosse ripiombato molti anni indietro, in un’altra epoca. Ovunque c’è un odore di carburante bruciato, quello delle Trabant, delle Lada e delle Skoda che percorrono le strade del centro”.
Oltre all’Albania della guerra, eccoci a Praga nell’estate del 1968, all’arrivo dei carri armati russi: una descrizione epica dei praghesi che fuggono di fronte alla violenza dell’esercito invasore che tutto distrugge, mentre a piazza San Venceslao, nello splendido hotel liberty, ancora si conservano i riti di una capitale mitteleuropea da tempo scomparsa.
E poi Roma negli anni del Sifar, dei tentativi di colpo di stato da parte di vecchi attrezzi filofascisti riciclatisi negli anni democristiani, di cui il colonnello Losito offre un tragico esempio significativo.
Romanzo complesso, dall’architettura narrativa solida, capace di seguire i tanti rivoli in cui la storia si dirama in termini diacronici ma senza mai perdere di vista il protagonista, il Titta, personaggio dolente, sconfitto, ma dignitoso: emblema della complessità e delle ambiguità nelle quali molti italiani si sono trovati a vivere, costretti a giocare troppi ruoli, a vestire panni scomodi, a subire le ideologie totalitarie del secolo scorso inseguendo invano un sogno di vita “normale”, di tornare a casa, alla sua Sicilia, senza eroismi e senza attese che non fossero una donna, sempre e solo sognata come risposta al suo desiderio di sopravvivenza.
Straordinarie le pagine in cui Molitierni racconta la caduta del Muro nel novembre dell’89: i colori, gli odori mai sentiti dai cittadini prigionieri di un’ideologia assurda che in poche ore si sgretola come il cemento del muro, i rumori del traffico, il caos della folla impazzita sono immagini che abbiamo molto visto ma poco letto. Bellissime e commoventi.
Arrivederci a Berlino est
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