Battibecchi
- Autore: Curzio Malaparte
Battibecchi (Shakespeare & Company Florentia, 1993) è un libro divenuto nel tempo prezioso e raro, perché pubblicato da una piccola Casa Editrice fiorentina che era nota per la sua attività culturale e anche perché Battibecchi raccoglie le sagaci e polemiche note giornalistiche malapartiane che ebbero un enorme successo nell’Italia degli anni cinquanta.
Curzio Malaparte, scrittore e giornalista controcorrente, fascista eretico, comunista scomodo, è stato amato da pochi e dai più considerato un opportunista. La verità è che, pur essendo tedesco di origine, Kurt Erich Suckert, nato a Prato, amava definirsi arcitaliano ed è stato un intellettuale di grande intuito e soprattutto indocile. Piero Gobetti lo definì la penna più forte del fascismo, Giuseppe Prezzolini lo disprezzava e Alberto Moravia lo considerava un amico. Di sicuro Malaparte amava lo scandalo come provocazione civile e affermazione del suo stile di vita. Dal 1953 fino al 1956 curò per il settimanale illustrato Tempo la rubrica Battibecco che ottenne un immediato ed inatteso successo fra i lettori da far raddoppiare le vendite del giornale. L’Italia di quegli anni era una nazione lacerata dalle suddivisioni ideologiche e politiche, con le macerie della guerra ancora visibili e la ricostruzione appena avviata.
“1954. L’ITALIA NON C’ENTRA. A tutti coloro che bestemmiano l’Italia per le sue leggi antiquate, per la sua magistratura, la sua burocrazia borbonica, la sua cattiva amministrazione, per gli scandali, per lo sperpero del pubblico denaro, per i soprusi, le prepotenze, gli abusi di autorità, per le condizioni di vera e propria servitù in cui il cittadino è tenuto dallo Stato, io vorrei rispondere che l’Italia non c’entra. Tutti i mali della vita italiana nascono non già dal popoli ma dallo Stato.“
La politica economica di Einaudi pose un freno all’inflazione che stabilizzando la lira generò, allo stesso tempo, conseguenze negative sull’occupazione. I lettori scrivevano al giornale e raccontavano della mancanza di lavoro, della situazione nelle carceri e di un governo debole che non dava loro fiducia nel domani.
“1955. DISOCCUPAZIONE E SUICIDI. È doloroso vedere come i giornali italiani diano tanto spazio agli inni in onore del governo e costringano poi in poche righe quelle atroci notizie di suicidi di disoccupati che affiorano in questi ultimi anni. Eppure quei suicidi di disoccupati sono fondamentali per tentar di capire l’attuale situazione italiana … l’operaio disoccupato che si ammazza per disperazione, per non morir di fame, si uccide non per una ragione privata ma pubblica: per una colpa altrui. Si ammazza perché la società non è capace di difendere il suo diritto al lavoro e alla vita.“
Numerosi sacchi di posta arrivavano in redazione e Malaparte dette voce alla gran parte di coloro che inviavano lettere di denuncia civile. Nel 1955, a due anni dall’inizio della sua rubrica, lo scrittore era diventato così famoso e potente che il ministro degli Interni, Fernando Tambroni, predispose un ufficio speciale nel suo dicastero al servizio di quei cittadini che scrivevano chiedendo attenzione e aiuto. Battibecchi è la raccolta di tutti i suoi elzeviri, la maggior parte brevi, scritti e pubblicati fino alla morte dello scrittore, avvenuta nel 1957. Gli argomenti trattati sembrano essere quelli che oggi ci poniamo quotidianamente: politica, costume, disoccupazione, malgoverno, corruzione.
“1954. PARTITI E DENARO PUBBLICO. Il governo ha annunziato che prenderà le misure necessarie per impedire che il denaro pubblico vada a finire nelle casse del partito comunista. Benissimo. Il denaro pubblico non deve andare a finire nelle casse di nessun partito, neppure in quelle dei partiti di maggioranza.“
Il lettore è coinvolto in una lettura nella quale sono narrati i vizi e le virtù di un’Italia lontana negli anni e ad un’immediata constatazione risulta che la nostra situazione non sembra essere diversa da allora, se non per i valori di Patria e di etica che erano sentimenti immutabili e di appartenenza. Dopo più di sessant’anni si evidenzia una continuità del potere politico-partitico e della casta, una riflessione amara per la nostra democrazia a tutt’oggi incompiuta.
"1954. I TOSCANI NO. Vorrei scrivere una lettera all’on. Fanfani per dirgli questo: Caro Fanfani, sono toscano anch’io come te e lasciati dire che se non ti vogliono non è per l’apertura a destra, né per quella a sinistra, ma perché sei toscano. In Italia i toscani non li vuole nessuno, specie in politica. Ci tollerano a denti stretti nella arti e nelle lettere, ci sopportano a fatica negli affari, ma in politica non ci vogliono. E sai perché non ci vogliono? Perché siamo spiritosi senza indulgenza … perché non crediamo alla retorica, di cui la classe politica è ghiottissima. Perché tiriamo al sodo e badiamo alle cose pratiche. Perché sappiamo parlare e non siamo oratori. Più del nostro particolare ingegno hanno forse paura che noi non guardiamo in faccia a nessuno. A governare l’Italia si son provati tutti. Tutti, meno i toscani. E si è visto dove ci han portato. A me, caro Fanfani, pare cosa ingiusta che tutti debbano avere il diritto di rovinare l’Italia, fuorché i toscani.”
Battibecco
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