Bianco su nero
- Autore: Rubén Gallego
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2004
Bianco su nero di Rubén Gallego (Adelphi 2004, traduzione di Elena Gori Corti) è l’autobiografia di un disabile grave sballottato tra orfanotrofi, istituti e nosocomi dell’Unione Sovietica nel ventennio pre Gorbačëv.
La ricostruzione si focalizza soprattutto sull’infanzia e sulla prima adolescenza del protagonista. Questo impianto indicativamente cronologico è spezzato da incursioni e flash di una facciata sulla contemporaneità. Lo scenario si sposta tra aree remote della Russia e Stati Uniti. Oggi l’autore vive con la terza moglie e figlia in Israele, dove continua a dedicarsi alla scrittura.
Però, appare riduttivo e inutile ricondurre il testo a un unico genere letterario.
Un romanzo breve o un racconto lungo, articolato in brevi capitoli, sugli snodi esistenziali e affettivi del protagonista che, dopo una vita drammaticamente rocambolesca, sta ancora imparando a mettere a fuoco le sue luci di posizione nel mondo. Perché Rubén, classe 1968, da un lato a causa di una paralisi cerebrale può muovere solo il collo e un dito della mano, dall’altro possiede un’intelligenza inconsueta riconosciuta tardivamente dagli adulti.
Un memoriale ad alto impatto emotivo sull’accettazione/rifiuto della disabilità da parte della società, della famiglia e del diretto interessato in due realtà opposte: quella sovietica e quella statunitense. Se pensate a un elementare dualismo, siete fuori strada!
In un Paese come l’Urss che si promuove immune dai portatori di handicap, questi vengono occultati, sfruttati quando possibile come forza lavoro e scomunicati dal consorzio umano. È opportuno ricordare che nel 1980 i Giochi paralimpici non si svolsero a Mosca, sede prescelta, perché il governo affermò che non esistevano disabili. Per le prime Paralimpiadi ospitate dall’ex Unione Sovietica si dovrà aspettare Sochi nel 2014.
A ben vedere gli istituti descritti da Gallego sono un coacervo di persone destinate a vario titolo a essere sottratte alla vista altrui: reietti, diseredati, veterani e mutilati di guerra, ex galeotti, pazzi, disabili; individui mentalmente sani insieme a quelli con deficit cognitivi inabili al lavoro. Oppure anziani malati e alla ricerca di un luogo dove trascinare l’esistenza o lasciarsi morire. Tutti all’ombra di una solitudine che strappa il cuore.
"Era un pessimo orfanotrofio, pessimo davvero. La cosa più difficile da sopportare era il freddo: non accendevano il riscaldamento. Era dura soprattutto d’inverno. L’inchiostro ghiacciava nelle penne, i termosifoni erano inutili blocchi di metallo gelido".
Una galleria di figure dolenti, struggenti, indimenticabili cristallizzate nella loro fame di vita anche quando scelgono una soluzione autosoppressiva.
Negli istituti Rubén capisce, soffre e impara. A nove anni capisce di essere solo al mondo e di non poter camminare. Patisce l’abbandono, la scoperta di avere un nonno importante e l’attesa di un incontro che non avverrà mai. Patisce l’insulto di una diagnosi frettolosa: un ritardo mentale che non ha. Le sofferenze di cure inutilmente punitive per mettere in sesto il suo corpo sbagliato.
Impara a strisciare perché non ci sono carrozzine per disabili. Impara a classificare il mondo con un sistema binario tra chi deambula/chi striscia, chi ha la mamma/chi no, chi è autosufficiente/chi non lo sarà mai. Soprattutto a essere un eroe per necessità:
"Sono un eroe. È facile essere un eroe. Se non hai le braccia o le gambe, o sei un eroe o sei morto. Sei condannato a essere un eroe fino alla fine dei tuoi giorni. O a crepare".
Il protagonista non si sente tradito dal destino, bensì frustrato dalla mancanza di autonomia che lo isola anche tra gli ultimi. È sorprendente come questo bambino, ora 50enne, privo di rapporti significativi fino alla maggiore età con adulti accudenti, sia riuscito a costruire la sua personalità.
Poi la svolta, la prima in una vita che supera ogni immaginazione.
In Bianco su nero di Rubén Gallego non troverete l’esaltata accettazione della disabilità come dono. Non troverete l’ostinazione di chi pensa che non esistano limiti invalicabili. E nemmeno la negazione della normalità, postulato per negare la diversità. Troverete la fiducia nella forza interiore e, benché rari, nella bontà e nell’amore. Una magnifica lettura.
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