Bird Box
- Autore: Josh Malerman
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Piemme
- Anno di pubblicazione: 2019
Sapete il detto evangelico sull’occhio che se ti offende è meglio cavarselo da soli senza indugi? Mi è tornato in mente durante la lettura di “Bird Box” (Piemme, 2019), originale horror apocalittico firmato da Josh Malerman dei The High Strung. Credo che l’associazione possa essere legittimata dall’impronta speculativa rintracciabile sottotraccia al romanzo. Pure se organizzato secondo i canoni di genere (l’apocalisse in progress, la cosa che striscia là fuori, il ritorno alla barbarie, le città in rovina, i caratteri conflittuali) il romanzo di Josh Malerman si presta infatti a letture ulteriori.
La principale orbita intorno all’atto di vedere (se stessi, il mondo) e del vedere oltre (nel senso kinghiano che era dell’Overlook hotel di Shining). Una seconda potrebbe riguardare Hobbes e la sua declinazione in chiave para-sci-fi (“L’uomo è la creatura che lui stesso teme”). La terza ha ricadute metafisiche, riferite alla natura e alla coscienza del male. Chissà se perché sovra-esposta all’apparente, l’umanità di “Bird Box” è inibita per contrappasso dalla risorsa scopica: se guardi (e vedi le non meglio specificate creature) muori, oppure diventi pazzo, uccidi e ti uccidi.
Il filo thrilling cui Josh Malerman tiene aggrappato il lettore, riferisce alla natura altra, soltanto suggerita, delle creature che inducono alla pazzia - una natura extraterrestre? metafisica? ipnagogica? allucinata? lovecraftiana? - e al loro scopo - un disegno sovrannaturale?, il male per il male?, un atto di necessità?, un atto purificatore? -. Fatto sta che, contigua a un pianeta dove l’immagine era assurta a caposaldo ontologico (appaio dunque esisto), c’è qualcosa di terrificante. Qualcosa che deve giocoforza rimanere nascosto allo sguardo. Chi è così sprovveduto - o follemente prometeico – da tenere gli occhi aperti va infatti incontro al destino funesto di cui sopra.
Non c’è scampo, per cui cinque anni dopo gli esordi del contagio, i sopravvissuti vivono bendati in comuni fatiscenti, separate dall’esterno da porte e finestre che occultano la luce. Ciò che nel mondo “prima” era dato per scontato (dunque guardato superficialmente?) – il colore del cielo, la luce radiosa del sole, il risplendere della natura – nel mondo dell’apocalisse è un ricordo precluso allo sguardo. Il mondo fuori (dalle abitazioni-rifugio) è diventato il mondo della paura. Della violenza. Della paranoia.
A Malorie, rimasta sola con due bambini di quattro anni non resta che giocarsi l’ultima carta: bendare lei e i due piccoli, attraversare il fiume e raggiungere alla cieca un luogo più sicuro, dove alcuni sopravvissuti stanno provando a darsi un’organizzazione. La cosa grave è che a un certo punto del percorso (iniziatico?), il fiume si frammenta in quattro canali e, per azzeccare quello giusto, bisognerà che la donna faccia qualcosa che non fa più da anni: togliere la benda, aprire gli occhi (vedere), sfidando così le creature sul loro terreno, il terreno della salvezza o della definitiva perdizione (un richiamo alla tentazione allo sguardo di Orfeo e Euridice?). In ultima analisi: “Bird Box” (da dicembre è anche un film Netflix con Sandra Bullock e John Malkovich) ti toglie il fiato, ti fa pensare e non delude le attese. E dire che si tratta dell’esordio letterario di Josh Maleman: non te ne accorgi.
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