Bulat Okudžava. Vita e destino di un poeta con la chitarra
- Autore: Giulia De Florio
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2018
Ogni tanto escono libri che rompono il silenzio. Che spezzano i laccioli dell’oblio. “Bulat Okudžava. Vita e destino di un poeta con la chitarra” è uno di questi. Lo ha scritto la docente di Lingua e Letteratura Russa Giulia De Florio: è dedicato a uno dei massimi esponenti della canzone d’autore nel mondo. Bulat Okudžava ha cantato di vita, di morte e politica ai tempi dell’Unione Sovietica post stalinista. Lo ha fatto con garbo acuminato, con ironia, con le parole semplici e puntuali della vera poesia. Una poesia umanista, non ascrivibile a nessuna delle logiche imposte dai regimi. Ha amato Mosca e la libertà sopra ogni cosa, Bulat Okudžava. Ha amato gli antieroi di Arnart, il quartiere moscovita in cui è venuto su e ha amato sognare (futuri e destini diversi, per esempio) ai tempi in cui i sogni erano spesso smentiti dalla realtà dei fatti, e non soltanto in URSS.
Figlio di due attivisti bolscevichi, Bulat rimane solo presto. Il padre fucilato come traditore, la madre deportata in un Gulag per diciannove anni. Sono le cicatrici più grandi inferte da Stalin alla sua vita. Il resto saprà farlo la guerra, a cui partecipa barando sull’età: il tentativo umano-troppo-umano - più che patriottico - di riscattare il marchio di infamia che grava sul nome della sua famiglia.
Quando comincia a musicare e cantare le poesie che scrive Okudžava è un intellettuale iscritto al partito comunista e forse anche per questo la diffidenza lo circonda. Attraverso uno stile immediato, ma gravido di sotto-testi, canta le ricadute ontologiche e sociali del regime staliniano e la violenza della guerra. I suoi dischi verranno incisi a Parigi, molto dopo. In patria la fama di Bulat Okudžava si propaga underground, sulla scorta delle registrazioni private e dei concerti tenuti negli ambienti della cultura clandestina. Critici e corporazioni ligie al partito scuotono la testa, Okudžava diventa bardo e vate a furor di popolo. Se non proprio un mito, comunque un precursore.
Bulat Okudžava è il primo dei cantautori russi, e non solo in senso cronologico. Non il più famoso, il più famoso anche per il piccolo manipolo di appassionati italiani di cose slave è Vladimir Vysockij. E’ il primo perché tale viene riconosciuto dai suoi compagni, è il primo perché definisce un canone – dopo di lui si comincerà a parlare di “canzone d’autore russa”, “chanson russa”, “poeti-cantanti”, “bardi”. Gli altri cantori confessano candidamente: “prima di sentirlo non credevamo si potesse fare”, “dopo che l’ho sentito ho cominciato a cantare anch’io”, e questo è propriamente ciò che si dice dei capiscuola.
Così Giulia De Florio introduce l’uomo e l’artista, a pagina 15 del libro che lo riguarda. Un libro dialettico, abilmente attestato sui crinali della vita, del pensiero, delle espressioni e delle passioni artistiche, politiche, sociali, che segnano il percorso okudžaviano.
Siamo malati, abbiamo una società selvaggia, malata. Vive di vecchi stereotipi, di una struttura ormai andata. Non può vivere in modo energico, nuovo. Lo impara, si abitua. Con il dolore, con il sangue e l’orrore.
Così parlò spesso Okudžava ai concerti e nelle interviste concesse. Così parlava negli anni Settanta di Nikita Sergeevič Chruščëv, malgrado le purghe staliniane fossero ormai alle spalle, temeva che “i cittadini di una tale società possano, prima o poi, rendere di nuovo possibile l’ascesa di un tiranno ” (Giulia De Florio, pagina 78, stessa pagina della citazione precedente).
Del resto non c’è vero coraggio che non muova dalla paura. E nemmeno ardimento, se è per questo. Il poeta-cantante Bulat Okudžava ne ha avuti da vendere e mi riferisco a entrambi: paura e ardimento. Sublimati anche attraverso i versi delle sue canzoni.
"Vita e destino di un poeta con la chitarra" è la prima monografia in lingua italiana che lo riguarda. Annovera anche scritti di Sergio Secondiano Sacchi, Alessio Lega e bellissime fotografie di Alberto Coggiola. C’è un’altra cosa: al libro è allegato il cd dello storico concerto tenuto proprio da Okudžava al teatro Ariston di Sanremo. Era il 1985 e in quella occasione gli venne assegnato il Premio Tenco. Non è un caso che questo volume trovi spazio all’interno della collana “I libri del Club Tenco” dell’encomiabile Squilibri Editore. Che il dio della cultura possa rendere merito a tutti quelli che in un modo o nell’altro hanno contribuito alla pubblicazione.
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