Con il fuoco nelle vene
- Autore: Giuseppe Salvemini
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2016
Alla guerra, come a un incontro d’amore. Non vedeva l’ora. Ho gettato via con disprezzo l’abito borghese e mi sono vestito in divisa. Quanto orgoglio nelle parole di un giovanissimo volontario, al primo incontro con l’uniforme e la vita militare, all’avvio del corso ufficiali di complemento a Modena, nell’estate 1916. È Giuseppe Salvemini, diciannovenne aretino che già in quei giorni annotava tutto sul suo taccuino, realizzando quel diario che cento anni dopo avrebbe vinto il Premio Tutino 2015, dell’Archivio Nazionale Diaristico di Pieve Santo Stefano, meritando la pubblicazione nella curata veste editoriale della milanese Terre di Mezzo: “Con il fuoco nelle vene” (2016, pp. 400, euro 14,00), diario di un sottotenente della Grande Guerra.
Quella che il futuro sottotenente ragazzino andava indossando con tanta soddisfazione era la semplice montura grigioverde dei primi giorni da allievo: giubba, pantaloni, mantellina e fasce gambiere dalle caviglie alle ginocchia, ma per lui significava
“spogliarsi della vita noiosa, stupida e sottomessa dello studente, e avviare quella emozionante, sfolgorante e autoritaria dell’ufficiale”.
Un ragazzo giovanissimo, colto, generoso, che si cacciava con tutto l’entusiasmo dei suoi nemmeno vent’anni nel dramma che milioni di coetanei e di uomini hanno vissuto e sofferto tra il 1914 e il 1918. È uno dei significati e dei contenuti esemplari del volume. Fino al 31 ottobre 1916, quindi a tutto il servizio di prima nomina a Forlì e Cesena, resterà sostanzialmente uno studente, con tutti i sogni, le infatuazioni e le speranze. Ma diventerà uomo in una notte, il 1 novembre, all’impatto con la linea del fuoco, nella zona di Gorizia, conquistata dagli italiani nei primi di agosto. Fino alla sera precedente era ancora l’ufficialetto aspirante che fantasticava imprese ardimentose per la Patria e facili conquiste di cuori femminili (tanto più agevoli con le stellette sulle maniche). In poche ore si sarebbe trasformato in un povero essere fragile, sgomento di fronte alla morte e consapevole della facilità e della scompostezza con cui si soccombeva ai colpi, le cannonate, le malattie, le pallottole nemiche e talvolta anche il fuoco amico.
Altri mettono in luce aspetti diversi. La giuria che ha assegnato il Pieve al manoscritto del tenentino di Castiglion Fiorentino ha premiato il suo testo come uno più puntuali ed espliciti di denuncia del massacro di massa, delle fucilazioni e delle esecuzioni sommarie che caratterizzarono l’esperienza di guerra degli italiani. Lo storico Antonio Gibelli, tra i principali studiosi del primo conflitto mondiale, trova essenziale nel diario di Salvemini il tracollo delle sue motivazioni interventiste al cospetto della disciplina marziale che veniva esercitata al fronte e che lui stesso era costretto a minacciare. In un caso, almeno, aveva anche dovuto eseguirla. Gibelli sottolinea il turbamento del sottotenente ventenne, a fine maggio 1917, dopo una fucilazione cui aveva assistito.
“La metà di loro, io credo siano innocenti! O almeno ignari e inconsci di quello che hanno commesso! Questa è la terribile giustizia del fronte. Al Comando di Divisione, ovunque giriamo lo sguardo, vediamo mucchietti di cadaveri allineati. Sono tutti stati fucilati!”
Non è più il ragazzo esaltato, partito alla guerra con entusiasmo, è un veterano amareggiato. Al suo arrivo in trincea lo avevano subito spedito a comandare un assalto inutile, contro una posizione imprendibile. “È impossibile, moriremo tutti”, gli diceva il sergente. I soldati, solo sessanta, lo guardavano impauriti. Tremavano. Il diciannovenne Salvemini, appena arrivato, ieri di guarnigione, oggi all’attacco fuori della trincea, grida a bassa voce: “Avanti, guai a chi rimane!” Ma i reticolati sono intatti.
Riporta meno della metà degli uomini. “Era impossibile, ma bisognava andare”. Solo ieri era un idealista, oggi è un combattente avvilito. Il diario è chiaramente distinto tra un prima e un dopo, tra il periodo dell’addestramento e quello dell’azione di guerra, totalmente e irrimediabilmente differenti, per sentimenti e partecipazione del protagonista. Il 30 ottobre 1916 si attardava ancora in qualche bravata con i commilitoni, passando momenti allegri, col pensiero fisso alle ragazze e alle compagne occasionali disposte all’approccio. Dopo la mezzanotte del 31, superata Udine e raggiunta Cormons, “un lontano brontolio, simile al boato cupo del tuono” segnala un bombardamento in corso e la notte seguente è già in battaglia, nell’acqua melmosa sperimenta la prima carneficina. Per lui come per migliaia di giovani, si consuma in pochissimo la crisi totale delle aspettative. La disillusione sarà presto suggellata dalla morte, un anno dopo, nel 1918, per le conseguenze dell’intossicazione da gas asfissiante.
Il diario ha inizio il 15 giugno 1916, alla partenza da Arezzo e termina un anno dopo, il 23 giugno 1917, alla vigilia di una licenza, quando si sono già manifestati i disturbi che lo porteranno alla fine. Le pagine della decima battaglia dell’Isonzo (maggio 1917) sono tra le più crude e vere della narrativa di guerra degli ultimi anni.
Con il fuoco nelle vene. Diario di un sottotenente della grande guerra
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