Contro la rivoluzione la fedeltà. Il marchese Vincenzo Mortillaro cattolico e tradizionalista intransigente (1806-1888)
- Autore: Tommaso Romano
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2011
In una precedente recensione (Guida per Palermo e pei suoi dintorni) è già stata introdotta la figura del marchese Vincenzo Mortillaro (1806-1888), erudito palermitano, storico, memorialista, arabista, legittimista borbonico e scrittore cattolico intransigente.
Ad oggi non sono molti coloro che si sono cimentati nell’analisi della vasta bibliografia di questo aristocratico. Mario Spataro (1931-2006) nel suo mediocre e assai discutibile saggio I primi secessionisti. Separatismo in Sicilia 1866 e 1943-46 (Controcorrente, 2001) cita il Nostro solo di sfuggita, trattando la celebre e confusa rivolta del sette e mezzo (16-22 settembre 1866):
“Vincenzo Mortillaro, illustre scrittore e studioso, fu vittima delle persecuzioni poliziesche del governo piemontese [sic]. Per le sue “pericolose idee” venne tenuto in carcere dal 1866 al 1867”.
La biografia più recente e completa dell’autore siculo risale al 2011 ed è stata pubblicata da Tommaso Romano: Contro la rivoluzione la fedeltà. Il marchese Vincenzo Mortillaro cattolico e tradizionalista intransigente (1806-1888), edita per ISSPE con il contributo dell’Assessorato Regionale Beni Culturali e dell’Identità Siciliana. Romano ripercorre tutto il complesso percorso della vita del legittimista: sotto il governo borbonico Mortillaro ricoprì cariche amministrative e incarichi accademici, durante i moti del 1848 sperò che la Sicilia potesse riottenere la sua antica autonomia, salvo poi venire deluso dagli sviluppi della rivoluzione, e dopo l’Unità d’Italia, rimasto fedele al vecchio regime, si fece agitatore dei circoli che sognavano il ritorno di re Francesco II (1836-1894).
“Mortillaro, in effetti, non solo era capo dei borbonici e autonomisti ma suo teorico, collegato strettamente ai clericali e artefice di contatti strategici con antichi rivoluzionari ora delusi dalla rivoluzione, come avvenne per Giuseppe Badia [1824-1888], longa manus operativa dei disegni di restaurazione”.
Nel maggio del 1865 il marchese tentò di organizzare una sommossa a Palermo con l’obiettivo di sovvertire l’ordine costituito, la rivolta fu tuttavia sventata e Mortillaro venne accusato di aver ideato uno sbarco borbonico a Messina per proclamare il governo costituzionale di Francesco II e aprire subito un dialogo con gli ambasciatori di Russia, Austria, Spagna e Turchia.
Immaginarsi Mortillaro come un settario sarebbe però sbagliato, la sua integrità morale e la sua onestà furono riconosciute anche dai suoi oppositori politici, e non fu nemmeno un fanatico assolutista, giacché difendeva l’ideale di una monarchia tradizionale e organica, sostenuta dai corpi intermedi e rispettosa delle autonomie locali. Va anche ricordato che nel 1870 entrò a far parte della Società Internazionale per l’abolizione della tratta degli schiavi.
Lealista e autonomista con sfumature indipendentiste (da intendersi come la nostalgia di un Regno Siciliano separato), il nobile riteneva che il vero patriottismo naturale, tradizionale e insito nell’uomo, fosse il patriottismo municipale, cioè l’amore per la propria città, e che il patriottismo cristiano fosse, appunto, innanzitutto municipale:
“La patria in tutti i libri della Bibbia, cioè nella prima pagina della storia dell’umanità, significa la terra natale, – il proprio comune. – Ora ogni comune ha i suoi costumi, le sue storiche tradizioni, la sua politica condizione, ed esso innanzi allo stato è come la famiglia, cui la legge politica, diceva [Pierre-Paul] Royer-Collard [1763-1845], trova ma non crea. I gusti di un popolo poi sono la conseguenza immediata del clima e delle sensazioni continue prodotte in lui dagli oggetti che abitualmente lo circondano; e l’educazione civile o le barbarie li modificano in meglio o in peggio, ma non ne distruggono mai il tipo originale”.
Coerentemente, il siciliano giunse a chiedersi che sarebbe stato “se forse l’Italia invece di fondersi si fosse confederata come l’impero germanico”: se l’Unità fosse stata raggiunta con un’unione federale “avrebbe alcuno trovato nocivo il legittimismo dei principi ora spodestati”?
Con il passare degli anni e il fallimento del progetto di far rinascere il Regno delle Due Sicilie, Mortillaro si rifugiò sempre di più nelle sue ricerche:
“L’attuale secolo stravolto reputa nemici del vero progresso i seguaci della vera religione, i cattolici; mentre il cattolicesimo, cioè il puro cristianesimo, è stato ed è non solo compagno, ma creatore del sincero progresso”.
Così scrisse il patrizio, che rimproverò aspramente gli eccessi dei progressisti, odiatori della religione cristiana:
“Bisognerebbe cancellare la storia per dimenticare che durante le lunghe calamità, che accompagnarono e che seguirono la caduta dell’impero romano, le scienze non ebbero altro asilo che il santuario di questa Chiesa che si profana addì d’oggi con tanta ingratitudine”.
Il polemista pretese rispetto per la Chiesa Cattolica, che difese la civiltà dalle aggressioni dell’islam che avrebbero potuto arrestare il progresso così come avvenne nel mondo arabo: “il principio religioso sostenne durante cinque secoli la grande querela sociale contro i Musulmani”.
Quello di Tommaso Romano è un volume corposo, che non si limita a proporre un profilo biografico esaustivo di Mortillaro, ma anche una serie di interpretazioni del suo pensiero politico e una preziosa antologia di brani tratti dai suoi scritti. Ciò che l’autore della monografia si augura è che altri dopo di lui possano approfondire aspetti inediti di questo grande intellettuale siciliano, dotato innegabilmente di una curiosità vulcanica ed enciclopedica. Contro la rivoluzione la fedeltà è un libro vivamente consigliabile a ogni appassionato di storia siciliana.
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