Cronorifugio
- Autore: Georgi Gospodinov
- Genere: Fantascienza
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Voland
- Anno di pubblicazione: 2021
“Tutte le storie che sono accadute si somigliano, ogni storia non accaduta non è accaduta a modo suo”.
È per questo che la voce narrante di Cronorifugio (la cui firma è G.G., come le iniziali dell’autore, Georgi Gospodinov), edito in Italia da Voland nella traduzione di Giuseppe Dell’Agata, decide di fare qualcosa al riguardo con l’aiuto di Gaustìn, un personaggio inacciuffabile, che sfugge alle definizioni e al concetto di esistenza basato sullo spazio-tempo per come lo ha iniziato a concepire Einstein.
La maniera in cui i due provano a intervenire, dopo essersi inseguiti in una caccia letteraria che prende in prestito diverse pagine di Storia del Novecento, naturalmente è a dir poco sorprendente: entrambi, d’altronde, sono uomini consapevoli, acculturati, figli della contemporaneità. E più di tutto sono matti, quantomeno rispetto alle categorie di pensiero cui siamo abituati. I loro discorsi, infatti, di rado seguono un filo logico, vanno spesso a ritroso, e nonostante ciò riescono a seguirne ugualmente uno resistente agli urti, agli anni che passano (in avanti o all’indietro che sia) e a tante contraddizioni in termini.
Certo, spiegarle non è semplice, nemmeno fuori dal romanzo che costituisce la più recente fatica letteraria dell’autore originario di Jambol, nonché l’opera che gli è valsa per la seconda volta il prestigioso Premio letterario nazionale per il romanzo bulgaro dell’anno. L’obiettivo iniziale, così quantomeno sembrerebbe, consiste nel mettere su una clinica del passato, nella quale addolcire, ripescare o aggiustare i ricordi e le storie (accadute o meno) di chi ha bisogno di aiuto per i più svariati motivi, a partire dalla consapevolezza del fatto ce "il passato non è solo quello che ti è capitato. A volte è quello che ti sei solo inventato".
La faccenda, però, si complica nel momento in cui "gironzolare nei sottopassaggi del passato" tra un cronorifugio e l’altro sfugge di mano ai protagonisti, e sfugge di mano perfino al narratore: elementi eterogenei si sovrappongono, episodi reali abbracciano invenzioni della mente, citazioni d’autore affiorano come se niente fosse interrompendo la narrazione, fino ad arrivare addirittura a citazioni di fantomatiche opere scritte dai personaggi stessi del romanzo, in un vortice di piani temporali e del pensiero che, come promesso, rende onore a ciò che non è mai accaduto, a ciò che è stato scordato (ovvero tolto dal cuore), a ciò che ancora non è successo e già si prevede a memoria.
Non sarà stata l’intenzione di Gaustìn e di G.G., ma il mostro della vecchiaia, senza epos come appare ai loro occhi, lascia il posto a un mostro diverso, a un vero e proprio virus del passato che si diffonde a macchio d’olio come un’epidemia, influenzando l’esistenza di intere città, regioni, nazioni, continenti. Dopotutto, niente di strano che Gospodinov sia feroce nei confronti della politica (“Se non altro l’Europa era brava nelle utopie” scrive per esempio a un certo punto, in una frase a forma di pugnalata), e a modo suo ironico senza alcun freno, come se raccontando si stesse finalmente liberando di quei lacci collettivi che hanno infestato anche il suo, di passato novecentesco.
E non a caso i grandi movimenti osservati dall’autore coincidono per lo più con dei fenomeni di massa, come esige il focus di Cronorifugio sul XX secolo: a partire da un referendum sul passato, fino ad arrivare a una ripetizione della seconda guerra mondiale nel 2029 (“Ripetiamo questa guerra perché non si ripeta mai più, dirà qualcuno per radio e questa assurda tautologia sbloccherà tutto”), la storia dei popoli diventa un ibrido che si distrugge da solo pur di salvarsi, con metodi sadomasochistici che non smettono di suggerire un senso di tragicomica resa all’esistenza.
Nel frattempo entrano ed escono dalla scena decine di personaggi secondari: pazienti della clinica, dapprima, e poi cittadini del mondo, politici, conoscenti di Gaustìn o di G.G., avvolti in una lingua onirica e severa contemporaneamente, che sa di dover essere spietata nei confronti del passato, “perché anche il passato è spietato”. Magari l’effetto sortito non sarà affine a quello di The Truman Show, di Good bye, Lenin! o di Ritorno al futuro, come già si osserva nel libro, e tuttavia il suo dialogo con opere d’arte preesistenti è saldo e brillante, a partire da Jorge Luis Borges per poi raggiungere Karel Čapek, passando intanto dal Calvino di Se una notte d’inverno un viaggiatore e, a tratti, dalla pellicola del 2004 Eternal Sunshine of the Spotless Mind, con cui sembra condividere la convinzione per la quale “non esiste una macchina del tempo che non sia l’uomo”.
“Com’è felice il destino dell’incolpevole vestale!
Dimentica del mondo, dal mondo dimenticata.
Infinita letizia della mente candida!
Accettata ogni preghiera e rinunciato a ogni desiderio.”
Recitano così i versi che hanno ispirato il film, e che sembrano fungere quasi da contraltare all’idea di Gospodinov, che solo avendo memoria del passato lo si potrà accettare, tollerare e perfino dimenticare, considerando l’ultimo verbo come una consapevole presa di posizione, il cui retrogusto fa venire in mente un dolce e lento abbandono del mondo a sé stesso. Non per niente i cronorifugi, secondo Gaustìn, sono un rifugio antiaereo pronto a soccorrere i molti che
“cominceranno a scendere nel passato da soli, a ‘perdere’ la memoria di propria volontà. Si profila un tempo in cui sempre più persone vorranno nascondersi nella loro grotta e tornare indietro. E non da una bella situazione, in ogni caso”.
Di conseguenza, fra schizzi, appunti e stralci di poesie, G.G. e il suo braccio destro (o è forse viceversa? Chi ha inventato chi? Chi dipende da chi? Chi ha cominciato cosa?) mettono a punto una storia di rincorse e di profezie autoavveranti, di denuncia e di ammonizione, sul passato e sul futuro, in cui i disegni di volti non ancora nati possono prendersi il lusso di coincidere con quelli di volti che già non ci sono più, almeno fino a quando un epilogo inquietante e tutt’altro che risolutivo non lascerà il posto alle innumerevoli altre vicende che devono ancora verificarsi al di fuori della carta stampata, o che forse già si sono verificate da millenni.
“La fine di un romanzo è come la fine del mondo”, scrive nell’epilogo G.G., “è bene che si rimandi”. Fino ad allora, però, è importante che sia il resto a non aspettare, per quanto pericoloso, sconosciuto e sgradevole sia: è il presente che va custodito, con le sue brutture e con i suoi limiti, con i suoi benefattori e i suoi santi, in vista del momento in cui, se mai assisteremo all’eterno ritorno vagheggiato da Nietzsche, non sarà con l’inferno alle nostre spalle che dovremo fare i conti, ma con un universo in cui sia quantomeno dignitoso scegliere di sopravvivere.
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