D’amore non esistono peccati
- Autore: Roberto Pazzi
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2012
Roberto Pazzi è da sempre uno scrittore visionario: la sua cifra più riuscita è proprio quella di immaginare, partendo da fatti e personaggi reali, vicende fantastiche, al limite della verosimiglianza, ma del tutto surreali. Ricordo con grande piacere la lettura di “Conclave”, un romanzo che precedeva di gran lunga nel tempo tutti i Dan Brown e le saghe vaticane che si sono succedute nella letteratura più commerciale così venduta (a basso costo) negli ultimissimi anni.
In quest’ultimo libro (D’amore non esistono peccati, Barbera, 2012) Pazzi sceglie la letteratura e l’amore, un binomio caro a tutti, letterati e lettori, che nelle storie d’amore sanno ritrovarsi e perdersi.
Già dall’epigrafe di Vittorio Sereni, il romanzo gronda cultura letteraria, una vera sfida per chi riesce a riconoscere, nella moltitudine dei personaggi che si affollano lungo la narrazione, volti di noti e notissimi fantasmi della cultura occidentale, dalla mitologia greca fino ai giorni nostri.
L’albergo Mon repos, una sorta di Grand Hotel viscontiano, è il luogo fantastico nel quale il narratore si trova, anche se, novello Dante in una selva oscura, non sa come e quando vi sia giunto, “un giorno umido di primavera che pareva d’autunno”. Qui, servito da eleganti camerieri, incontra poco alla volta gli altri commensali, ospiti silenziosi del misterioso albergo, taciturni e sfuggenti: ecco in giardino una bella creola, un po’ avvizzita, in abiti stile impero (è Joséphine, la prima moglie di Napoleone), poi arriverà anche lui, l’Empereur con il suo seguito e i suoi carcerieri inglesi, sceso dalla nave che poi lo porterà all’esilio definitivo a Sant’Elena. Ma l’incontro più inquietante sarò quello con Romeo e Giulietta, che si rivolgono al narratore chiamandolo Mercuzio, nome con cuii verrà chiamato in tutto il racconto. Altre coppie famose si affacciano sul misterioso palcoscenico creato dalla prodigiosa fantasia di Pazzi: Abelardo e Eloisa, Paolo e Francesca, Oscar Wilde e l’amico “Bosie”, Marcel Proust e Alfred Agostinelli, Carlo Michelstaedter e la giovane russa Nadia, Marguerite Yourcenar e la compagna americana Grace. I personaggi incontrati sono tutti morti ma vivi nella fantasmagoria creata dallo scrittore, caratterizzati dall’inquietudine e dall’angoscia di un amore controverso, contrastato, ma più forte del tempo e della morte stessa.
Ecco immagini meravigliose, come la Yourcenar a cavallo che va ad incontrare l’imperatore Adriano che cavalca in compagnia di Antinoo…..
”Chissà che cosa si erano detti l’imperatore e la scrittrice? Che sentimento della vita uno degli antichi poteva rivelare, quasi impossibile da capire che modo di guardare e pensare va perduto? E quelli che verranno dopo, di noi cosa capiranno?”
Ecco le tre Parche, giovani flessuose vestite in abiti bianchi, in perfetta ricostruzione Belle Epoque, trasformarsi sotto gli occhi sbigottiti del narratore in tre vergini assatanate di sesso, possedute da tre muratori feroci e ignoranti o trasformate a loro volta in uomini desiderosi di possedere sessualmente i tre operai…
La cultura raffinata di Pazzi si mescola con fantasie sessuali spregiudicate, in cui la metamorfosi delle identità è un gioco mutuato dalla mitologia classica:
“Mi mettevo a spiare l’Eros fra uomini e divinità? ...rischiavo la fine tremenda di Atteone, che aveva spiato Diana nuda al bagno anche lei...”
Mercuzio nella sua camera al Mon repos sogna un amplesso con una misteriosa donna che gli si nega, finché assume le sembianze di una cameriera, in grembiule e crestina, che canta motivetti della tradizione popolare italiana (”Fiorin Fiorello…” o “Parlami d’amore Mariù”) e, seducendolo, prova a trascinarlo con sé fuori da quel mondo fittizio, fantastico, nel quale si era trovato a vivere.
Anche il finale con cui Roberto Pazzi conclude la sua narrazione è inatteso quanto verosimile…
Non sono riuscita davvero a dare un giudizio oggettivo su questo romanzo: sono stata catturata dalle onnivore letture dell’autore capace di riversare sulla pagina una straordinaria ricchezza di suggestioni. Forse, l’unica notazione che riesco a formulare, un po’ troppe citazioni e a tratti ho pensato che forse, sottraendo qualcosa alla fluviale narrazione, il romanzo ne avrebbe guadagnato in spessore. Ma forse un fiume in piena è sempre più utile ed efficace di tanta banalità e incultura che ci riserva il nostro tetro presente.
D'amore non esistono peccati
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