Delitti senza castigo. Dostoevskij secondo Woody Allen
- Autore: Fabrizio Borin
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mimesis
- Anno di pubblicazione: 2020
I gialli esistenziali di Woody Allen rivelano l’impronta tragica che segna ab origine la sua comicità. Per dirla con le parole di Fabrizio Borin, che in Delitti senza castigo. Dostoevskij secondo Woody Allen (Mimesis, 2020) ne individua la vena filosofico-drammatica:
“Fin dagli anni dell’esordio le incursioni argute dello stand up comedian Allen nella sfera della filosofia, della morte, della magia (bianca), non sono rare, ma vengono sempre assunte come elemento comico – è noto trattarsi, insieme all’eterno motivo della fame, di temi di enorme spessore leggero, grottesco, comico – al quale attribuire appunto un’importanza relativamente ridotta, e sempre quale “gancio” espressivo finalizzato al regno delle sue gag, sia verbali che di situazione. E però proprio in quegli anni il germe della tentazione drammatica, unita all’interesse per la sperimentazione anche tecnica e per la rivisitazione dei generi, ha cominciato a germogliare, innaffiato sempre da una capacità di scrittura per le sceneggiature e per i dialoghi fuori dal comune. Si pensi, per esempio, a opere come Interiors (1978), Stardust Memories (1890), al finale di Amore e guerra (Love and Death, 1975) con il giullare che, alla Ingmar Bergman de Il settimo sigillo (Det sjunde inseglet, 1957), danza con la morte”. (pagg. 56-57).
Ben prima di misurarsi scopertamente col drammatico (Interiors, Settembre, Un’altra donna), Allen familiarizzava dunque già con il vuoto e il non senso esistenziali. Anche attraverso battute come queste:
“Alcuni vedono il bicchiere mezzo vuoto, altri lo vedono mezzo pieno. Io ho sempre visto la bara mezza piena”.
“Non ho mai creduto nell’esistenza di un Dio, né che questi avesse una predilezione per gli ebrei, se mai fosse esistito…E perché in sinagoga le donne dovevano stare al piano di sopra? Erano più carine e intelligenti degli zeloti barbuti che giù da basso si avvolgevano scialli di preghiera, ciondolavano la testa come pupazzi adorando un potere immaginario che, se esisteva, ripagava tutti i loro salamelecchi con il diabete e il reflusso gastrico”.
Non è un caso che questo luminoso saggio di Borin muova, peraltro, da un’analisi della scrittura filmica di Fedor Dostoevskij. Dostoevskij (il Dostoevskij di Delitto e castigo, in primo luogo) è infatti assumibile come l’autentico filo rosso che attraversa e tiene insieme l’esalogia alleniana su delitto, colpa e impunità (Crimini e misfatti, Match Point, Scoop, Sogni e delitti, Irrational man, La ruota delle meraviglie). Come evidenzia ancora l’autore:
“Proprio all’inizio del film (Match Point, ndr) un’inquadratura mostra il protagonista Chris mentre legge Dostoevskij in un chiarissimo omaggio-citazione di Woody Allen al grande scrittore russo. Non è una pura esibizione di riconoscenza per Delitto e castigo, ma precisamente la dichiarazione anticipata dello svolgersi della vicenda nella Londra contemporanea, con la differenza che Allen al delitto non fa seguire il castigo. Se, detto in estrema sintesi, in Dostoevskij la redenzione dell’individuo passa attraverso la sofferenza, il regista americano con Match Point e gli altri […] film intende sottolineare il fatto che, a certe particolari condizioni, ovvero se il colpevole non viene scoperto e, soprattutto, se riesce a resistere alla istintiva tentazione di confessare il proprio crimine, può anche essere che la faccia franca e continui a vivere la sua esistenza, forse inizialmente tormentata, ma in definitiva, secondo la filosofia alleniana, umanamente comprensibile anche se non giustificabile” (pagg. 55-56)
Pur avendo rivisitato tutti i generi, Woody Allen risulta insomma attratto dal dibattimento interiore (delitti di qualunque estrazione e frattura morale conseguente), quasi come la falena è attratta dalla fiamma (la critica non ne ha apprezzato le prove drammatiche-e-basta): l’inarrivabile Ingmar Bergman è l’altro grande nume tutelare alleniano e nemmeno questo è solo un caso.
Dei sei film della serie criminal-filosofica di Woody Allen almeno due sono capolavori assoluti. Uno è senz’altro Crimini e misfatti:
“Crimini e misfatti è un film su persone che non vedono. Non si vedono come le vedono gli altri. Non vedono cosa è giusto e cosa è sbagliato nelle situazioni. E questa nel film era una forte metafora”. (pag. 62)
L’altro è Match Point:
“un film che continua l’indagine alleniana sulle crepe psicologiche dei suoi personaggi-campione, sulla caduta verticale dei valori morali di fondo della società contemporanea, non solo targata USA".
E per quanto mi riguarda nemmeno i drammatici senza risvolti gialli, Interiors e Settembre, sono da buttare.
Attraverso una disamina minuziosa e una prosa lineare (non guasta mai) Fabrizio Borin confeziona il saggio che nessuno aveva pensato di scrivere su Woody Allen. Delitti senza castigo. Dostoevskij secondo Woody Allen è un libro sbieco e divagante, poggiato sugli aspetti meno indagati del regista (l’ultima parte del volume è dedicata allo stretto legame tematico di Woody Allen con la magia), che ne restituiscono la vocazione tragica, sottotraccia a una preponderanza comica che serve a salvargli, e a salvarci, la vita con i film.
Delitti senza castigo. Dostoevskij secondo Woody Allen
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