Distopica
- Autore: Marina Giovannelli
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2022
Distopica di Marina Giovannelli (Samuele Editore, 2022) è una silloge dolorosa, elegante nel suo percorso ineluttabile, ingentilito e alleggerito a tratti dalla rima che fiorisce quasi in mezzo al fango. Senza quasi, perché in un’immagine le mani affondano nel bitume, in un mondo disumano e robotico.
La consolazione sta nello sguardo al passato tradito, quando si poteva tornare a casa accompagnati dal profumo dei gelsomini. Ora non più, ora l’anima poetica si sente fuori tempo, estraniata nella sua stessa città, divenuta, nella metafora, luogo di mura cinte da filo spinato, in una civiltà distopica in cui la comunicazione è soprattutto digitale, passa attraverso Facebook e la solitudine è lo stato abituale.
Cadute le illusioni, come caddero al preveggente profeta Leopardi nel suo tragico rifiuto delle "magnifiche sorti e progressive" del progresso (La ginestra), restano all’autrice i riferimenti ripetuti alla morte, sia fisica che morale, il nostro ineluttabile cadere come foglie:
ma con le foglie sono andati anche i sogni / e il tronco oscilla abbrividisce al gelo.
Anche il Bene, scritto con la maiuscola, sprofonda nel nulla. Implicita e continuamente sottintesa è la domanda: che ne sarà di noi?
Fino a diventare invocazione esplicita e contraddittoria nella lirica Preghiera:
Salvami dall’incertezza / la confusione del condizionale / mi stringe come assenzio / buttato giù d’un fiato / Il vuoto mi precipita l’inferno / il pieno non mi riconosce / quale adepta o pupilla neanche serva / che abitiamo distanze / di multiforme povertà d’amore / Salvami dalla speranza / non offrirmi sintassi di futuro / prosciuga il residuo desiderio / che resti solo nudità di vita.
Le dicotomie sono tante, fino a culminare nella "nudità di vita", tremante possibilità di salvezza. Ma vita verso quale meta? E in un mondo di disamore.
Nonostante ciò, una tenue speranza non muore, se fin dalla prima poesia, in chiusa, Giovannelli scrive:
“Ma improvvisi s’accendono lampioni / tenue ristoro al buio precipizio / a indicare una bava di sentiero / verso dove c’è ancora una meta”
La distopia, esatto contrario di ideali utopici, è la previsione di catastrofi, come sottolinea il prefatore Alessandro Canzian.
Il merito e la lucidità di questo piccolo libro che scotta tra le mani, è di toccare, individuare la distopia già abbondante nel presente, che prevale sia nel vissuto individuale (la prima parte della silloge è dedicata a singole figure iconiche, alla morte del padre, anche a ragazzi morti nel fiore dell’età, tratteggiate con pena e compartecipazione) sia, dalla metà in poi, nella sofferenza sociale, di cui abbiamo una spaccato sintetico ed esatto:
dirò il pozzo inquinato / l’olivo divelto / i bambini che giocano sulle macerie / e fanno ciao con la mano alla videocamera / dirò il filo spinato / i cunicoli scavati per la sopravvivenza / le medicine introvabili” […] Infine dirò la vergogna che avvampa il volto / ad ogni voce che promette pace
Il rimando sembra al conflitto israeliano-palestinese, (l’olivo, i cunicoli…) ma pure alla situazione mondiale insanabile, perché non si vuole sanarla, caratterizzata dal baratro esistente tra privilegiati e depauperati, uccisi con il cinismo del potere, la cui arma principale resta, come sempre è stato, la guerra. Ma potrebbe essere l’ultima guerra, sono in gioco le armi nucleari. Non si può pronunciare la parola pace senza arrossire. "Siete lo stesso coinvolti" cantava Fabrizio De André.
Che dire poi della distopia prevista da Albert Einstein, da accostare ai versi citati, dopo Hiroshima e Nagasaki, con cui abbiamo un filo di continuità, rimorsi e problemi irrisolti.
Nel 1945 a tal proposito lo scienziato fu lapidario, disse senza ombra di dubbio:
Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre. In ogni caso, se lo avessi saputo, avrei fatto l’orologiaio.
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