Et in bona gratia. Un’indagine per il commissario Ludovico Ariosto
- Autore: Lida Coltelli
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2021
Cinquecento anni orsono, nel febbraio 1522, messer Ludovico Ariosto, poeta insigne ma cortigiano disoccupato, aveva più gatte da pelare che prebende dal ruolo appena assunto di commissario del Ducato di Ferrara in Garfagnana. Insieme a un omicidio inventato, l’incarico autentico in Alta Toscana dell’autore dell’Orlando Furioso, in una fase di confusione per il territorio di Lucca, è il pretesto del romanzo Et in bona gratia. Un’indagine per il commissario Ludovico Ariosto. Lo riconosce la stessa autrice, Lida Coltelli, di questo lavoro pubblicato nel 2021 dalla lucchese Tralerighe Libri (328 pagine), tra le opere di narrativa della casa editrice di Andrea Giannasi, votata con merito soprattutto alla saggistica sul Novecento e le guerre mondiali.
Lida Coltelli è nata a Lucca, papà poeta e scultore, mamma Giannasi. Insegna a Livorno con tanto amore per un compito educativo fondante — oggi sottovalutato — ed è attratta dalle tradizioni locali, dalla storia e dai gialli, in particolare a sfondo storico. Le quattro passioni, pedagogia, genius loci, indagini e storia, concorrono a confezionare un romanzo che si fa apprezzare per aver colto perfettamente gli obiettivi dell’autrice. Ha voluto ibridare la realtà storica della società garfagnina del XVI secolo con la fantasia narrativa e offrire un tributo di ricerca culturale alla propria terra d’origine.
Nella Rocca di Casalnuovo, l’Ariosto si è fermato tre anni, dal 7 febbraio 1522 al 31 maggio 1525. Più di milleduecento giorni lontano dalla sua Padania e dall’amata Alessandra Bonucci vissuti con grande pena d’animo.
Il duca Alfonso d’Este, al quale era devoto, lo aveva privato dell’appannaggio da cortigiano e inviato a guadagnarsi il pane col lavoro, nei possedimenti ferraresi in Garfagnana, a settentrione di Lucca, in qualità di commissario generale ducale. Di fatto, un governatore, compito ingrato per l’uomo di lettere e di corte. A 48 anni, con la sola consolazione della compagnia del figlio Virginio, si ritrova in una terra per lui del tutto aliena e anche ostile, sotto tanti aspetti, sebbene bella e selvaggia. Tra i problemi, non è l’ultimo il brigantaggio, che tormenta percorsi, trasporti e commerci.
Qualcuno, alla maniera del Ghino di Tacco di altra epoca e località toscana, si è collocato al centro di un circondario e si muove sul filo tra la legalità e l’arbitrio. È quello che fa Antonio Mazzei, chiamato con timore reverenziale il Moro del Sillico, arroccato nel suo castello di Ceserana. Il magnifico et generoso conte Ariosto, ducal generale commissario, se la deve vedere con lui e con i ricettatori di beni di dubbia origine, contro i quali ha dovuto emanare la prima “grida”. Altri grattacapi derivano dalle “pazzerie di francesi e italiani” che lo tengono in apprensione.
Le incombenze diplomatiche hanno già messo a dura prova nervi del funzionario estense, che preferirebbe la pace delle lettere alle inquietudini della politica. Ne ha già patite troppe: il giogo del cardinale Ippolito, la guerra con Venezia, la fuga per sottrarsi al vendicativo Giulio II, pontefice più pratico d’armi che d’incenso. E quanti viaggi disagevoli, sempre pericolosi, da giocarsi ogni volta la vita, come aveva rischiato nel raggiungere la Garfagnana da Ferrara.
La presenza degli Estensi sul versante tirrenico degli Appennini è in perfetta linea con la storia italiana del tempo. La scoperta dell’America ha spostato gli interessi internazionali dal Mediterraneo all’Atlantico, ma questo non ha concesso requie all’Italia. Le tante Signorie, sempre in lotta tra loro, sono incapaci di opporsi alle ambizioni di potenze come Francia e Spagna e di difendere i propri possedimenti dai progetti di Giulio II.
Il papa guerriero Della Rovere ha invaso anche la Garfagnana, territorio sotto il potere del Ducato di Ferrara e Mantova. Poi è stato sorpreso dall’iniziativa dei Lucchesi, che hanno conquistato Castelnuovo, ma la morte nel 1513 gli ha impedito di punire l’ardire. Breve pontificato anche per il successore, Leone X, che ha continuato il conflitto e scatenato i Fiorentini contro Lucca. La sua morte ha offerto ai Garfagnini l’occasione di ribellarsi e respingere Roma e Firenze. Nel dicembre 1521 i territori sono tornati in mano al duca D’Este ed ecco l’immediato arrivo dell’Ariosto, inviato da Alfonso in una terra di arduo governo, “abitata da gente poco incline alla sottomissione”.
Liti e accuse, ire e vendette, ruberie e omicidi si rovesciano addosso al commissario Ariosto, che se ne lamenta negli inascoltati appelli al duca. La professoressa Coltelli ha censito centocinquantasette lettere del governatore giunte fino a noi. Ma l’Emilia era lontana, la Segreteria ducale inaccessibile o il duca indifferente.
Velia, nuova e giovane serva a Castelnuovo, considera l’Ariosto un brav’uomo a modo, serio e malinconico, che solo perché protetto da una guarnigione poteva campare in quella terra di malfattori pronti a menare le mani.
Ed ecco che si verifica il giallo del mastro orafo Domenico. Apparente suicidio per impiccagione, ma non poco fa pensare diversamente. In aggiunta alle cure commissariali, ad Ariosto tocca quindi un’indagine, con l’aiuto del giovane Jacopo, addetto di polizia.
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