Faiddi di çiatu. Poesie in lingua siciliana
- Autore: Vincenzo Aiello
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2018
Vincenzo Aiello è poeta dialettale di Bagheria, ridente cittadina alle porte di Palermo, abbastanza nota per le sue ville signorili e per aver dato i natali a personaggi illustri come Ignazio Buttitta, Renato Guttuso, Giuseppe Tornatore, per citare appena alcuni nomi. A distanza di otto anni dalla prima raccolta Cori ri petra (2010) ci consegna una nuova silloge intitolata Faiddi di çiatu. Poesie in lingua siciliana (Billeci, 2018), composta da quarantadue componimenti in lingua siciliana.
Diciamo subito che l’autore è visceralmente legato alla lingua dei padri, dove si deposita la storia, quella più lontana, della comunità familiare e paesana. Ogni parola che usa conserva in sé tracce delle vicende tra cose e uomini, al punto da darci l’immagine del territorio di appartenenza, ancorché la scelta linguistica vada oltre i confini etnocentrici per comprendere stilemi provenienti dall’intera realtà geo-culturale della Sicilia.
La sua scrittura rifugge anche dalle forme letterarie; Aiello attinge a piene mani al parlato per la convinzione radicata nel suo codice genetico che la nostra letteratura ha origini dialettali e dialettali sono gli “scrittori di cose”, volendo utilizzare, una ben nota definizione di Pirandello. E la poesia, in quest’ottica, ha il merito di far vivere o rivivere parole che, in una società globalizzata e omologante, sono destinate all’oblio. Le parole se non usate scompaiono e il nostro poeta sa piegarle alle pulsioni che gli urgono dentro fino a essere mutate in “faville di fiato”. Questa la traduzione italiana del titolo della raccolta, Faiddi di çiatu, seducente e malioso. Chi scrive versi ha in sé l’ispirazione; avverte sussulti che fanno vibrare ogni cellula del proprio essere: forse è la “musa” calliopea a far sentire la sua presenza e allora l’animo crea e ricrea, facendosi religiosamente parola simbolizzata dall’energia vitale, ascensionale, del fuoco. Bella metafora dunque e bella per il carattere ascensionale del linguaggio che eleva lo sguardo dalla terra al cielo.
Entro questa prospettiva, l’idea fondamentale che sta a fondamento della poetica di Vincenzo Aiello, è anzitutto quella del sogno che per lui è come il filo di Arianna, perché le assenze diventino presenze. La dimensione onirica, che fa vivere un’avventura sempre rinnovata, è junghiana: è la pietra scartata dai costruttori divenuta la pietra angolare. Difatti, il poeta nell’inconscio incontra le proprie forze soccorritrici: quelle che portano alla completezza, alla realizzazione del proprio “Sé” .
L’autore ritrova così visioni in cui, fra luce e calore, agiscono le care cose amate, gli affetti larici, le persone incontrate lungo il cammino. Ecco l’aspetto miracoloso del sogno: viene a dire parole nuove e a svelare archetipi attesi. Non a caso Shakespeare invitava ad accendere un sogno e a lasciarlo bruciare nell’intimo. Perciò per Aiello diventa possibile ritrovare il tempo esteso: quello che, non equivalendo all’attimo, consente al presente di riandare al passato per nuovi orizzonti di vita.
La poesia ha bisogno di passato, di eventi conclusi e da ritrovare. E quello che può dare senso e valore ai fantasmi o alle apparenze, è l’archetipo della casa che l’inconscio dà alla parola come unità della coscienza, dei vissuti sicuramente: per il resto tutto passa in una fugacità di movimenti dove ogni cosa si sbriciola. Aiello ci dice che la pacata tranquillità viene innanzitutto dagli affetti e dalle memorie di vite passate ed essa parte dalle cose, da un’idea attorno alla quale ruotano vissuti edificanti da intendersi come dimensione relazionale in cui il “noi” respira plurime atmosfere. Viene in mente quanto Rilke diceva nella lettera del ’25 indirizzata al suo traduttore polacco per chiarire la valenza poetica delle Elegie di Duino:
Ancora pei padri dei nostri padri era una ’casa’, una ’fontana’, una torre conosciuta, persino la loro propria veste, il loro mantello, infinitamente più, infinitamente più familiare; quasi ogni cosa un vaso, in cui essi trovavano l’umano e accumulavano ancora altro umano (...) animate, vissute, consapevoli con noi, declinano e non possono più essere costituite (…). Su noi posa la responsabilità di conservare non solo il loro ricordo (sarebbe poco e infido) ma il loro valore umano e larico.
Mi sembrano a questo punto chiare le coordinate di una poetica che si perde nel sogno per ritrovare la gente e il suo respiro, la vita che scorre tra i quartieri, il tragico del reale visibile nella sorte amara di Aylan il bimbo trovato morto sulla spiaggia. È interessato alla vita così come gli passa accanto. E quando essa chiude il suo cerchio, restano le poesie: queste sue poesie dove il lirismo coinvolge e commuove. Così adesso le rileggo e le gusto e mi sento in compagnia del suo percorso al riparo da ogni male. Perché la vera poesia ha un effetto catartico. Poco è il dramma nella sua scrittura, piuttosto vi prevale la ricerca di un mondo con pacata meraviglia. Vi si sente un’atmosfera di pace e insieme un incanto che ci trasporta nell’immaginazione di una nuova, rinnovata realtà.
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