“Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”: in queste parole è contenuto l’accorato appello contro l’imbarbarimento dell’essere umano. Una frase che ci ammonisce, in quanto uomini, a fare tesoro della nostra intelligenza e a seguire la strada della virtù.
Questa citazione della Divina Commedia ha avuto nei secoli grande fortuna, ed è tuttora spesso ripresa in numerose opere, romanzi e orazioni di uomini celebri.
In un solo verso Dante Alighieri ribadisce la sconfinata sete dell’uomo per la conoscenza inserendo, tra le righe, un’invocazione a non smarrire mai il bisogno sconfinato di sapere che ci rende uomini. È proprio questa conoscenza, questa possibilità di elevarsi, sembra sottintendere il poeta, ciò che ci distingue dalle bestie che invece vivono in modo primitivo, alla giornata, senza interrogarsi sui fatti del mondo e sul futuro.
Per comprendere meglio il significato di questo verso di Dante Alighieri cerchiamo di contestualizzarlo nel canto di appartenenza, di capire chi l’ha pronunciato e perché.
Fatti non foste a viver come bruti: canto XXVI dell’Inferno
Si tratta del verso 119 del canto XXVI dell’Inferno, la prima delle tre cantiche che compongono l’intera struttura della Commedia.
Il ventiseiesimo canto è noto anche come "Canto di Ulisse", proprio perché proprio in questo passo del poema il Sommo Poeta incontra l’eroe greco Ulisse che è stato punito a causa delle sue astute e ingannevoli azioni.
Ci troviamo infatti nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio, nel girone dei consiglieri fraudolenti.
L’eroe dell’Odissea è condannato ad ardere in una fiamma perpetua, che ricorda il rogo funebre di Eteocle e Polinice (il rimando alla letteratura greca è ricorrente in questo canto, Ndr). La colpa di Ulisse non è solo quella di aver architettato il furto del Palladio e l’inganno del Cavallo di Troia, ma soprattutto la sua ambizione e sconfinata sete di conoscenza che l’hanno condotto a sfidare i limiti imposti dalla volontà divina.
Nel racconto di Dante Ulisse non fa ritorno a Itaca come stabilito dal mito omerico, ma si spinge in un viaggio temerario verso l’ignoto, oltre le Colonne d’Ercole che secondo gli antichi sancivano la fine del mondo conosciuto agli umani.
Fatti non foste a viver come bruti: cosa significa questo verso?
La terzina in cui troviamo questo verso è la seguente:
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza
Questa è l’“orazion picciola” pronunciata da Ulisse che esorta i suoi compagni a non temere l’ignoto e li spinge a mantenere sempre viva la curiosità e la sete di sapere. Parlando con Dante l’eroe greco, tramutato in fiamma dalla punizione infernale, rievoca il folle viaggio e ricorda le parole con cui ha convinto i compagni a superare il limite delle Colonne d’Ercole.
Ulisse racconta che dopo essersi separato dalla maga Circe, che l’aveva trattenuto più di un anno a Gaeta, né la nostalgia per il figlio o il vecchio padre, né l’amore per la moglie poterono vincere in lui il desiderio di esplorare il mondo. Si era quindi messo in viaggio in alto mare, insieme ai compagni, spingendosi con la nave oltre l’emisfero australe.
L’eroe greco esorta i compagni timorosi a non lasciarsi vincere dalle proprie paure per scoprire i misteri di un luogo della terra ancora disabitato, del quale il genere umano non ha ancora fatto esperienza. Secondo Ulisse gli uomini dovevano tener conto di essere stati creati p“er seguire virtù e conoscenza” e non per vivere come bestie.
La scelta di Ulisse tuttavia si rivela sconsiderata e trascina l’intero equipaggio alla morte. Dopo aver attraversato le famigerate Colonne d’Ercole la nave è infatti colpita da una tempesta che la fa colare a picco: dopo aver ruotato tre volte su se stessa sprofonda negli abissi marini.
La lezione di Ulisse
Secondo Ulisse la missione terrena dell’uomo è quella di arricchire costantemente il proprio patrimonio di conoscenze e di esperienze.
Nelle parole dell’eroe greco Dante proietta se stesso: anche il suo personaggio, proprio come Ulisse, è infatti caratterizzato da una inestinguibile sete di conoscenza per il mondo ignoto capace di prevalere su tutto il resto. Del resto anche il Sommo Poeta sta compiendo un viaggio ultraterreno che sfida i limiti della conoscenza umana.
L’orazione di Ulisse contiene un’importante lezione per migliorarsi ed evolversi è necessario rischiare, perché chi non è curioso di scoprire cose nuove e vive in maniera semplice e limitata, non potrà mai elevarsi oltre le sue possibilità. L’Ulisse di Dante dunque, a differenza di quello di Omero (che decide di ritornare in patria e riabbracciare la propria famiglia), viene punito per sempre a causa della sua scaltrezza, ma al tempo stesso dimostra una grande intelligenza.
L’Ulisse di Dante non farà mai ritorno a Itaca. Il suo insegnamento è contenuto nel senso stesso del viaggio, nella sete di sapere che guida il perpetuo vagare. Un altro poeta in tempi più recenti del resto intitolò saggiamente una sua poesia Quando ti metterai in viaggio per Itaca. Anche per Costantino Kavafis, come per Dante, l’insegnamento di Ulisse è contenuto nel viaggio e non nel ritorno a casa: è attraversando i pericoli dell’ignoto grazie alla sua sete inesausta di sapere che l’eroe greco ci dà una profonda lezione di vita.
Se da un lato l’astuzia lo rende peccatore, dall’altra il coraggio lo nobilita. La colpa di Ulisse è quella di aver peccato di ambizione e di aver voluto sfidare l’immensità della conoscenza divina, il suo merito tuttavia è quello di aver insegnato all’umanità che l’intelligenza e il coraggio sono l’essenza fondante dell’essere umano.
Le parole che Dante ha fatto pronunciare all’eroe omerico sono oggi un talismano prezioso, che ci ricorda di cosa siamo capaci in quanto uomini, e ci difende dai pericoli della disumanità e dall’imbarbarimento.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Fatti non foste a viver come bruti”: significato del verso di Dante
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